UN ARTISTA OPERAIO CATTOLICO
E COMUNISTA:
LUIGI STOCCHETTI DI LETINO
(CE), CHE SI FIRMA STOLU
Letino è un incantevole,
pittoresco paesino del Matese, all’estremità settentrionale della
provincia di Caserta e della Campania, al confine col Molise, epicentro del neo-costituito
Parco (che tante speranze di rinnovamento sta destando), posto a mille metri
d’altezza, con 783 abitanti (censimento 2001) ”squadrate case di pietra bianca,
con piccole finestre a croce…case di pietra viva, fra strade a gradinate, selciati
semiconsunti…quelle case di pietra pigiate l’una sull’altra”, nelle impressioni
letinesi di Tommaso Pisanti. (1)
Ma, come in tanti piccoli paesi
interni di montagna del Sud, dietro il bel paesaggio apprezzato dai visitatori
turistici, che tornano poi nelle loro comode residenze di pianura o cittadine,
la vita quotidiana lassù è stata, e continua per certi aspetti a
rimanere, durissima, testimoniata nei decenni dal significativo e ricorrente
fenomeno dell’emigrazione, sia verso l’America, sia in diverse parti d’Italia o
d’Europa.
La poca terra è avara,
l’allevamento non ha permesso vita agiata o arricchimenti, se non a pochi
grandi proprietari. Per gli altri, pastori-contadini, con le loro donne, mogli
e figlie, l’unico orizzonte quotidiano è stato e rimane ancora la dura
fatica, con un lavoro dall’alba al tramonto sulla terra sassosa, liberata a
forza di mine, o nelle solitudini dei pianori dietro a un gregge di pecore o a
una mandria di bovini, da riportare negli steccati, con l’ulteriore lavoro della
mungitura e della lavorazione del latte.
Si è creato storicamente
un meccanismo di condizionamento di vita fortissimo (gli animali ogni giorno
devono mangiare, bere, essere munti), con un imprigionamento al territorio ed
una limitazione di esperienze di vita, che la vita parentale e comunitaria, pur
intensa, non è riuscita o riesce a colmare.
L’isolamento geografico, con
l’aggiunta delle condizioni atmosferiche, ha impedito e impedisce una costante
osmosi quotidiana con altre comunità. Si è costituita e si
struttura ancora una psicologia quasi monastica, estranea profondamente alle
correnti culturali, sociali della pianura e delle città, di cui arriva
solo qualche eco episodica, mai profondamente capite o rielaborate.
L’unica forza acculturante
è stata nei secoli, e rimane ancora, la chiesa cattolica
controriformistica, con i suoi riti, che accompagnano la vita dei
pastori-contadini dalla nascita alla morte, dando con la lettura dei testi
sacri e le prediche, specialmente domenicali, le categorie interpretative
fondamentali della vita (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo),
rassicurando la profonda, umana angoscia esistenziale di fronte al dolore e alla
morte, esaltando momenti positivi ed emozionanti come la nascita, l’amore, il
matrimonio, dando un senso e una direzione degli eventi.
Così, nel chiuso delle
casette del paesino o delle piccole masserie sparse, tra i pianori e i monti,
la parrocchia e i riti cattolici controriformistici, la piazzetta, il circolo,
il bar, trascorre sostanzialmente immutabile la vita personale e collettiva.
Poiché il cattolicesimo
controriformistico è stato e rimane profondamente estraneo al principio
della libertà spirituale, civile, politica, che è stato
l’elemento, il lievito, la forza che ha messo in moto le rivoluzioni più
importanti dell’Occidente (dalla nascita di tante varie confessioni religiose, alla
tolleranza, al rispetto di tutte le fedi, alla nascita della scienza, all’economia
moderna, allo sviluppo tecnologico, al crescere del benessere, alle rivoluzioni
politiche, letterarie, artistiche) nei luoghi specialmente periferici del mondo
occidentale la libertà non ha mai attecchito, esposta al fuoco di
sbarramento cattolico e ad una cultura popolare, per certi aspetti commovente e
umana, ma figlia di un mondo immerso da millenni nell’analfabetismo.
Dalla miscela cattolica
antiliberale e dalla cultura popolare analfabeta è nata un’atmosfera sociale,
che non agevola la libera espansione delle personalità nelle direzioni
imprevedibili e creative che esse possono avere, e che divengono lieviti di
rinnovamento civile, culturale, economico, politico, dove, con altre atmosfere
etico-culturali, come quelle cittadine, possono fiorie.
Le segrete, costanti parole
d’ordine dei paesi marginali sono il conformismo, il non allontanarsi mai da
quello che ti dicono il prete, il padre, la madre, che si riduce poi
sostanzialmente ai dieci comandamenti e alla sopportazione, che non sono
servite e non sono sufficienti per vivere da protagonisti nella
modernità, ma solo per sopravvivere a livelli elementari. Nè
valgono più oggi, nell’era vorticosa della mondializzazione e
dell’apertura di tutti i confini.
C’è un deficit millenario di libertà, che non
è stato mai colmato, che non è colmato nemmeno ora che i rapporti
sono stati resi un po’ più agevoli da un certo benessere, dalle
macchine, dall’ambigua televisione, che, mentre libera da un lato, dall’altro
asservisce e rende conformisti in un altro modo più sottile, dalla
scuola pubblica, mai al centro veramente delle classi dirigenti di vario
colore.
Nel cuore di questo marginale
contesto storico-sociale nasce a Letino nel 1940 Luigi Stocchetti,
secondogenito di una famiglia di pastori contadini, nel pieno di una crisi
economica familiare terribile, giacchè, essendo partito il padre per la
guerra, la sopravvivenza familiare si era ridotta al minimo, imponendo alla
madre e ai due piccoli sacrifici e pene indicibili, costretti alla
solidarietà parentale.
L’orizzonte esistenziale di
Luigi dalla prima infanzia è stato segnato soprattutto dalla fame e anche
dall’essere picchiati dai genitori, per abituare forse alla durezza del vivere,
al duro destino che aspetta le persone lassù.
Non c’era, non poteva esservi
spazio per la cultura e per la scuola in un mondo tanto dominato da elementari
problemi di sopravvivenza.
Così il lavoro nei campi
e la cura degli animali sono stati l’unico orizzonte aperto e percorribile
dalla prima infanzia fino al 1959, quando, su consiglio del padre, Luigi va a
lavorare in Svizzera, sull’onda delle notizie e delle esperienze di tanti che,
con lo stesso lavoro di lassù o anche meno, potevano guadagnare molto,
molto di più, così rinfrancando le esangui economie familiari,
sempre al limite della sopravvivenza. Questo ragionamento è stato la
radice, la molla segreta di tante partenze verso le direzioni geografiche
più varie d’Italia, d’Europa, del mondo, nel solco di parenti, amici
già emigrati (come sta avvenendo ora per tanti immigrati, che vengono in
Italia).
In Svizzera si guadagnava di
più, ma restava la dura fatica, sotto padroni che comunque ti massacravano,
e in condizioni pesanti, come fare il minatore sul San Gottardo a 4000 mila
metri di altezza. A differenza di tanti amici emigrati che si contentavano,
dopo il lavoro, di godersi un po’ la vita, Luigi aveva sviluppato un suo modo
di resistere, quello di scrivere, scrivere riflessioni e poesie, incominciando
un cammino interiore, per inseguire, cercare, trovare un filo, un senso al
gomitolo aggrovigliato della sua vita personale e sociale. Questa tensione
interiore, questa auto-riflessione sul dolore, sul male, sulla sofferenza del
mondo, di cui la sua vita era profondamente intessuta, fin dalla nascita, lo
portarono a cercare le cause di essa e a individuare i modi per lottare.
Mancando di un retroterra
culturale a livello familiare, privo di quelle mediazioni che solo una
preparazione di un certo livello può dare, o che ti può essere
assicurata da altre atmosfere storico-sociali, così come è
avvenuto per tanti altri innumerevoli destini personali storicamente
subalterni, l’ideologia marxista-leninista nella sua semplicità
dogmatica, nella sua elementarietà, molto vicina nel profondo a quella
religiosa cattolica controriformista, è diventata lo strumento culturale
di interpretazione di quella protesta e di quella volontà di lotta.
Come i cattolici dividono il
mondo in cattolici e non cattolici, considerando questi ultimi eretici o
smarriti, colpevoli da combattere, o comunque diversi da tenere lontani da sé,
così il marxismo divide il mondo in sfruttati e sfruttatori,
proletariato buono e borghesia cattiva, promettendo in un certo futuro il
paradiso della società comunista in terra, come i preti cattolici
promettono il paradiso in cielo.
Così l’ideologia
marxista-leninista, che fu assunta da Luigi sul piano dottrinale e pratico,
vestiva in modo culturale un messaggio sostanzialmente dogmatico e religioso,
efficace e facilmente assimilato, perché della stessa pasta del messaggio
religioso ancestrale cattolico, succhiato col latte materno nei marginali luoghi
di vita.
Luigi credette di aver trovato
tutte le chiavi del complicato gomitolo personale, sociale, collettivo, e si
buttò con ardore nella militanza politica, schierandosi contro tutto e
tutti, pagando di persona.
Non avendo fatto il militare,
per il lavoro all’estero, quasi pensava di non farlo più a trentanni,
anche per l’ostilità ideologica verso lo stato borghese. Dovettero
intervenire i Carabinieri.
Così si ebbe la terza
importante esperienza esistenziale di Luigi, dopo quella agro-pastorale dall’infanzia
all’adolescenza e quella svizzera di gioventù. Fece il militare a Bari e
a Roma, con conoscenze personali e di nuovi ambienti, che lasceranno il segno.
Dai commilitoni di Bari
imparò a disegnare, a dipingere, e questo tipo di espressione artistica
fu la seconda forma che si aggiunse a quella riflessivo-poetica che aveva
coltivato nel periodo precedente. Vide Paestum, i suoi templi e ne rimase
profondamente impressionato.
Quando fu spostato a Roma,
vennero altre emozioni. Racconta: ”mi
trovai immerso in un immenso patrimonio artistico che mi stimolò
fortemente, allargò i miei orizzonti e mi radicò nelle mie
passioni.”(2) Il trentenne pastore-contadino-minatore, sostanzialmente
estraneo ad una profonda alfabetizzazione, ma ricco di complesse, dure, intricate
esperienze esistenziali, tocca con mano qualche esempio, qualche frammento di
quell’immenso, stratificato, complesso mondo storico-artistico-civile-sociale-economico,
di cui non aveva alcuna nozione profonda e ne rimane scosso, anche se non riuscirà
mai a dominarlo, ad assimilalo, a farlo suo, dati i limiti, gli ostacoli, le
resistenze inconsce possenti di formazione personale, religiosa, ideologica (e
in questo si annidano le ragioni, i limiti di una non compiuta, libera creatività
espressiva delle sue opere, come si dirà poi).
Rifiutando nell’inconscio
profondo quel complesso mondo (che, pur per certi aspetti, lo aveva
impressionato e che continuerà ad essere episodicamente presente nella
periferia della sua coscienza e del suo immaginario), dal punto di vista cattolico
e comunista, perché pagano e borghese, egli si reimmerge nel grembo più
rassicurante del paesello natìo e della sua cultura.
Nel mondo cittadino e moderno
non si era ritrovato, non si era realizzato, ne sentiva l’estraneità alla
sua identità, e l’ideologia marxista-leninista aveva rafforzato questa
estraneità, dandogli una spiegazione che sembrava razionale e logica.
In realtà le cose erano e
sono più complesse. Il pastore-contadino-minatore non ha capito la
modernità, non si è buttato nella modernità, per esserne
contaminato, arricchito, mutato, arricchito. Poteva andare ad esempio a fare esperienze
di pittore, di scultore, di artista a
Roma, Milano, Parigi, New York, Londra, per contaminarsi, mettersi in
discussione, compararsi, arricchirsi, mutarsi.
Egli si è difeso e ha
rifiutato la modernità e i suoi
valori, ritornando nella cultura arcaica paesana e ai suoi valori, da cui
proveniva.
Questo si legge in filigrana, se
si tiene ben presente il quarto periodo della sua vita, che dura fino ad oggi.
Così Luigi ha pensato,
come i suoi paesani, di ‘sistemarsi’, di mettere su famiglia, e si è
sposato a 35 anni, lui comunista marxista-leninista, nella chiesa, sotto la
benedizione del prete cattolico, come da secoli, con Emanuela Orsi, di cinque
anni meno di lui.
Emanuela era una espressione
commovente della figura femminile letinese, esposta come gli uomini alla
durezza del vivere lassù, ma veramente pilastro della sopravvivenza
della vita e dello scorrere della storia.
Senza le donne letinese, non vi
sarebbe Letino nella storia, ed il loro ruolo non è stato mai finora profondamente
capito, studiato, interpretato. Se ne coglie la importanza e la
decisività nelle parole di confessione dello stesso Luigi: ”Emanuela Orsi era una persona retta, non
usciva mai dal solco. Così decisi di farmi guidare da lei, perché
nell’organizzazione quotidiana della vita mostrava una sicurezza ed una
capacità di direzione che non avevo ancora conosciuto. E poi l’amavo e
per me l’amore occupa il posto più alto nella scala dei valori. La sua
cultura era basata sull’amore per la vita ed ora mi accorgo quanto fosse superiore
alla mia. Con lei, posso dire, sono diventato uomo.”(3)
Il
pastore-contadino-minatore-muratore si reimmerge nella vita letinese, nei suoi
ritmi, nei suoi valori, vivendo come aveva fatto il padre, come avevano fatto i
nonni, come avevano fatto gli avi per secoli e millenni.
Mette al mondo quattro figli, ma
la durezza del vivere che permane lassù costringe a darne due per l’adozione,
uno per l’emigrazione, solo la quarta resta vicino al padre, dopo che, al nono
anno di matrimonio, Emanuela muore all’ultimo parto.
Il dramma, che richiama tante
altre tragedie femminili di questi luoghi interni marginali, mai studiate
veramente nelle loro origini e nelle loro cause, con tante povere donne
esposte, con le loro sensibili esistenze, a fenomeni di isolamento, di destini
di subalternità ferrei e a volte disumani, si abbatte profondamente
sull’esistenza di Luigi.
Vedovo, povero, tormentato,
trova la forza del sopravvivere nel lavoro e nell’arte. E tra le arti quella
che sente più consona a sé è la scultura.
La sua mano era educata al
rapporto con la pietra già da bambino, quando forava i grossi macigni
per inserire la dinamite e liberare gli spazi per la coltivazione del terreno,
quando faceva il minatore in Svizzera.
La pietra delle montagne
suggestive, delle case del paese era il mondo in cui aveva aperto gli occhi, era
stata la compagna della sua infanzia.
La pietra, ora che aveva perso
la sposa, diventa la nuova, definitiva compagna, alla quale consegna tutto il
suo amore, tutta la sue energia, quasi tutto l’impegno quotidiano della sua
vita.
In essa scarica, traduce il suo
mondo interiore, le sue emozioni dei monti, degli animali, delle stagioni,
degli uomini, scarica, traduce la sua religione cattolica, la sua ideologia comunista,
coi suoi eventi, i suoi riti, i suoi protagonisti, i suoi miti.
Dice in una poesia del 1997 “La pietra è vera/è pura/
è viva./In essa/vedo genti/storia/cultura…/Nella pietra/c’è Dio”
e in un'altra, senza data,”Tra le
pietre/cammino,/come tra la gente./Sono come donne/sul balcone, alle finestre: /ragazze/sulle
scale…/persone/che m’invitano/ ad entrare./Sono cattedrali/case/castelli…/Vive
l’asino/e il bue,/la pecora e il gatto,/la luna,/la terra/il
cielo…Macigni/sassi/pietre/…Tutte hanno un nome proprio”(4).
Con la pietra manda messaggi di
dolore, di inquietudine di una vita che cerca il senso, mai veramente
afferrato, del suo svolgimento, di qui la sua irrequietezza, colta dal noto
scrittore Michele Prisco nel suo incontro con Luigi nel 1994, che osserva come
”nel dar vita attraverso quelle facce ai suoi fantasmi interiori, inconsciamente
abbia testimoniato più la presenza dei suoi conflitti interni che
l’affrancamento liberatorio di essi, se mai ci sia o ci sia stato
affrancamento.”(5).
Manda messaggi politici di un
rinnovamento sociale, culturale, intensamente sperato, che non viene (e che non
può venire lungo i sentieri delle religioni e delle ideologie, o del rifiuto
sostanziale della modernità).
Confusamente, con localistica
presunzione, distillato anche del suo atteggiamento dogmatico
religioso-ideologico, comunque un piccolo contributo di novità
espressiva, di paradossale modernità,
ha dato alla sua terra, al suo paesello natìo, disseminandolo di
sue sculture, rendendolo già diverso nel primo impatto da altri paesi,
più grigi ed anonimi.
(Ma occorrono, penso, anche momenti
concorsuali, per arricchire di pitture, sculture, architetture un paese, in
modo da farlo vivere ed educarlo alla varietà, alla comparazione, alla
vera modernità.)
Egli dà una espressione
individuale, una confusa aurora del valore della personalità, ad un
mondo agricolo-pastorale che non ha mai conosciuto l’espressività artistica,
sempre importata dal di fuori, e che si è rivelato più
agevolmente nella forma collettiva folcloristica, delle comunitarie tradizioni.
Stolu è uno dei primi
pastori-contadini che parla con una voce individuale, che traduce nella pietra
questo antico, arcaico mondo natìo, questa cultura semplice, chiusa su
stessa, ‘ammantellata’, dura, schiva, immersa nel suo dolore, nella sua fatica,
nel suo tormento, nelle sue rare, piccole gioie, nelle sue autentiche emozioni.
Testimonianza di un mondo che
non è più lo stesso, che è in sgretolamento per le spinte
possenti che vengono al di fuori, ma che quel mondo non capisce, perché non ha
la storia, le categorie, le attrezzature mentali per capirle.
Anche Stolu, pastore-contadino,
quel mondo nuovo che avanza tumultuosamente possente non capisce, e cerca di
difendere, con disperata energia, quella vecchia dura, ma nostalgica
realtà millenaria.
E’ l’ultimo, rispettabile, commovente,
grido di rivolta di un mondo che sta morendo (ed è giusto forse che
muoia, perché nasca finalmente nuova, più vera, più libera,
più umanissima vita per gli uomini e soprattutto per le donne di tanti
paesi marginali).
Lo stile con cui Luigi esprime
la sua singolare artisticità ha caratteri naif, ingenui (che però
continuamente si ripetono, senza aperture, segnali del riflesso culturale
ancestrale), quasi graffiti della preistoria, ma richiamano anche movenze
egiziane antiche, nella predilezione dello spazio frontale, o
espressività pre-colombiane, atzeche o incas, non a caso civiltà
di massiccio peso collettivo, estranee all’umanesimo ed alla fioritura delle
libere personalità.
Le pietre scolpite, piccole o
più grandi, messe sul prato in declivo, in cima al quale, sullo sfondo
dei monti e del paesello natìo, si erge la sua casa finalmente moderna e
dove vive come un monaco, sembrano richiamare emozioni religiose naturali degli
abitanti dell’isola di Pasqua, nella solitudine immensa del Pacifico.
Luigi Stocchetti, l’artistico
Stolu, è un oceanico isolato, chiuso spesso in se stesso, che ha bisogno
tuttavia di sentirsi nel grembo della sua comunità natia, di andare in
chiesa ogni sera, per sentirsi rassicurato, perché egli non conosce, non ha mai
conosciuto, non vuole conoscere la vera, drammatica e tragica solitudine della
modernità, senza conforti e rassicurazioni di religioni e di ideologie, nutrita
di complesse mediazioni culturali liberanti, da Bruno ad Einstein ad es., in
cui vive soltanto, può vivere la complessa, dura, ma salvifica
libertà personale e collettiva moderna, sorgente di vera
creatività, di nuovi veri, originali orizzonti espressivi.
Questa è la mia sincera,
ma sempre laicamente discutibile, immagine dell’uomo Stocchetti e dell’artista
Stolu.
Formia, 23 marzo 2004
Prof. Nicola Terracciano
Già preside del Liceo Pedagogico
e Linguistico Statale ’Cicerone’ di Formia (LT), dove vive - Saggista storico
politico del Risorgimento in Terra di Lavoro, del Moto Internazionalista sul
Matese del 1877, della tradizione repubblicana liberaldemocratica, dell’Antifascismo
e della Resistenza di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione -
Consigliere comunale liberalsocialista a Parete (CE), dove è nato nel
1944.
NOTE
1) Tommaso Pisanti, La memoria itinerante - Microviaggi in Terra
di lavoro e dintorni, Fiorentino editore, Napoli, 1999, pp.127-128.
2) Luigi Stocchetti, Il mio amore per la scultura, in
‘Narrazioni’, S.Nicola La Strada (CE),
settembre 2003, p. 17.
3) Ibidem, p. 16.
4) Poesie riportate in Don
Domenico Iannotta (a cura di), Stolu - Il
corvo, la lucertola, le pietre (frammenti di memoria), con testimonianze
anche di Giuseppe Castrillo e Antonio Visconte, Piedimonte Matese, senza data
(ma attribuibile al 1997).
5) Nella ‘prefazione’ della
pubblicazione curata da Giovanni Ariano, Le
pietre parlano- le sculture di Luigi Stocchetti, 1994, p. 5. Il volume, con
ampio corredo fotografico di Angelo De Lucia, ha visto la collaborazione anche
di Rosina Caliendo, Angela Falco, Anna
Farina.