NEL CENTENARIO DELLA MORTE 1898 - 1998
IL
MOVIMENTO D'AZIONE GIUSTIZIA E LIBERTA'
RICORDA
AGLI UOMINI LIBERI E MEMORI
FELICE CAVALLOTTI
(Milano, 1842 - Roma, 1898)
GARIBALDINO,
GIORNALISTA,
POETA E DRAMMATURGO,
RADICALE DELL'
OTTOCENTO,
IL BARDO DELLA
DEMOCRAZIA,
CHE PER PRIMO
POSE LA 'QUESTIONE
MORALE'
NELLA
POLITICA ITALIANA.
LOTTO'
CONTRO IL TRASFORMISMO, L'AUTORITARISMO,
LE INGIUSTIZIE SOCIALI,
E PAGO' CON
LA VITA LA
SUA CORAGGIOSA BATTAGLIA
NEL
PARLAMENTO E NEL
PAESE
|
MEMORIA
RIMOSSA PER TUTTO IL
1998 DALLE ISTITUZIONI
E DALLE FORZE POLITICHE, ESTRANEE
O SPESSO LONTANE DAI VALORI CHE DA QUEL
GRANDE TESTIMONE DISCENDONO
Felice Carlo Emmanuele Cavallotti nacque a Milano il 6 ottobre 1842,
penultimo di cinque figli di una famiglia della piccola borghesia. E, come dice
Alessandro Galante Garrone, autore nel
1976 della più importante biografia su Cavallotti (alla quale molto deve
questo profilo, dagli intenti divulgativi e celebrativi) " milanese egli
si sentì e si professò per tutta la vita: non solo e non tanto
per la nascita, quanto per gusto e carattere, che aveva arguti e bonari, e
volti al pratico, al sodo buon senso (più di quanto non appaia dai
ritratti un po’ convenzionali che di lui ci sono stati trasmessi), e anche per
tradizioni culturali, risalenti a Parini, e uno spiccato sentimento di fierezza
cittadina, e per lo stesso dialetto meneghino, che padroneggiava assai bene fin
da ragazzo, e poi da adulto, perfino in poesie e discorsi in pubblico."
(1).
Ma il padre, Francesco, era originario di Venezia, dove era nato nel
1800; si impiegò a Milano presso la Giunta del Censimento. Aveva
interessi culturali in campo linguistico e conosceva bene il tedesco.
La madre, Vittoria Gaudi, era invece milanese. Dai diari conservati del
marito Francesco emerge "una natura caparbia, indomita, irascibile",
che portò anche a una formale richiesta di separazione, poi ritirata.
Commenta Galante Garrone" non ci si può sottrarre all'impressione
di un carattere risentito, impulsivo, spesso anche violento e incontrollato
nelle sue manifestazioni esteriori. E qualcosa di questa trasmodante
impetuosità, di questi incontenibili scatti della madre ritroveremo nel
figlio Felice, fino alla tragica conclusione della sua esistenza" (2).
I momenti più felici della
fanciullezza di Cavallotti furono
legati ai giorni trascorsi presso la zia paterna Adelaide a Ghevio sopra Meina,
sul Lago Maggiore " il mio Ghevio ove s'andava per greppi e boscaglie e
per siepi, in traccia di funghi e ciclamini" (3). A Meina, a Ghevio, a
Dagnente (dove acquistò poi una modesta casa) Cavallotti ritornò
spesso nella sua vita per riposarsi, scrivere, lenire gli affanni, e a Dagnente
(dove vi è stato quest'anno il
ricordo) è sepolto.
Frequentò, per le ristrettezze familiari, dalle elementari le
scuole pubbliche; al Liceo di Porta Nuova primeggiava, specialmente nelle
materie umanistiche e nel possesso della lingua tedesca, tanto da dare lezioni
private a sedici anni per aiutare la famiglia. A quell'età incominciò
a verseggiare, caratterizzandosi per la "estrema facilità del
comporre, la facilità tipica dell'improvvisatore" (4), che
rimarrà caratteristica della sua attività poetica, pur con esiti
non originali, se paragonati ad es. a quelli di Carducci, suo coetaneo ed
amico.
Già le Quattro Giornate di Milano del 1848 avevano lasciato
qualche traccia nella sua memoria, specialmente con la figura di Cattaneo, ma
furono i giorni entusiasmanti della Seconda Guerra di Indipendenza del 1859 a
spingerlo nella politica. Così, a capo della deputazione degli studenti
del citato Liceo di Porta Nuova, lesse l'indirizzo di saluto al Conte di Cavour
in visita al Liceo "L'Italia sa che non le verrete mai meno: è
oppressa, soffre , attende, e vi benedice" (5). Cavour, alle parole
infuocate del liceale milanese diciassettenne, rispose con compiacimento, ma
anche con l'invito allo studio: "Non credete signori che solo con la spada
si rigeneri una nazione; a ciò vuolsi eziandio lo sviluppo della mente e
del cuore. Proseguite nella via che avete così bene iniziata: la patria
attende molto da voi".(6)
Un altro indirizzo di saluto il giovanissimo Cavallotti lesse durante
la visita del ministro dell'istruzione Terenzio Mamiani.
Nel frattempo il fratello Giuseppe, di un anno più grande di
lui, nel febbraio 1860 si era arruolato volontario nell'esercito piemontese.
Date la discreta cultura e la facilità dello scrivere, Felice si
diede già in quel periodo al giornalismo, essendo sorti tanti periodici
nella Milano liberata. Iniziò su "Il Momento", fondato da
Benedetto Castiglia, un esule siciliano, già professore
all'Università di Palermo, che era di sentimenti cavouriani, ma aperto
anche all'ammirazione di Garibaldi, consonante quindi con Cavallotti. Ma il giornale
chiuse dopo pochi mesi e Felice pensò già allora di fondarne uno
dal titolo "Libera ed Una", per il quale aveva redatto il
programma "Libertà, unità, fratellanza. E' il motto
dell'éra nuova, della vita nuova dei popoli."(7) Cavallotti, come
tanti altri della sua generazione, es. Carducci, si muoveva tra difesa della politica sabauda e
cavouriana, sentimento unitario e primi entusiasmi per Garibaldi. Ma, non
accettando la tendenziale chiusura dinastica e regionale, che stava emergendo,
e trovandosi a vivere l'eroica spedizione
garibaldina del Sud, Cavallotti trapassò dalla possibile
posizione moderata a quella decisamente democratica, distante sia da Cavour, ma
anche lontana da Mazzini. La democrazia garibaldina cominciava a profilarsi
come una delle correnti politiche più vive del paese accanto a quella
liberale e a quella repubblicana mazziniana.
Nella primavera del 1860 Cavallotti pubblicò un opuscolo di 28
pagine 'Germania e l'Italia. Il partito nazionale germanico. Le sue vicende,
le sue speranze", che presagiva la caduta del dispotismo austriaco
anche in Germania, ad opera della Prussia, e il processo di unificazione sotto
di essa, così come era avvenuto in Italia ad opera del Piemonte. Si
auspicava che i due popoli liberi e uniti fossero "fratelli nel grande
cammino dell' umanita' ". (8)
La spedizione dei Mille suscitò un'ondata di volontariato
giovanile in tutto il paese, specialmente al Nord. Come scrisse Carducci in un
frammento di poesia del giugno 1860 " Garibaldi ! Al tuo nome a mille a
mille/ fuggon giovini eroi le dolci case/ e de le madri i lacrimosi
amplessi…" (9). Tra quei giovani vi fu Felice Cavallotti, che,
all'insaputa dei genitori, si arruolò a Milano col foglio di congedo di
un suo cugino più grande, Cacciatore delle Alpi ( condizione per essere
inseriti in lista), e partì il 10 giugno da Genova sul vapore
'Washington', che, con altri due, portò in Sicilia la seconda spedizione
Medici. A Castellamare del Golfo conobbe per la prima volta Garibaldi, venuto
in visita ai giovani volontari. La colonna Medici, passando per Alcamo e
Partinico, giunse a Palermo. Cavallotti e i suoi amici più sensibili
furono impressionati "dalle bigotte superstizioni del popolino, dalla
frequenza di preti e mendicanti, dai ragazzi cenciosi e affamati; e la scoperta
di questa arretratezza non sarebbe stata dimenticata."(10).
La sua compagnia fu tra quelle più duramente impegnate nella
battaglia di Milazzo tra il 16 e il 20 luglio e Cavallotti fu in prima linea.
Nel frattempo il fratello Giuseppe si era congedato dall'esercito piemontese,
stanco e deluso dall'inazione sabauda, e si arruolò il 28 luglio nella
brigata Milano dell'Esercito Meridionale, agli ordini del generale Turr.
Felice, anche su sollecitazione del padre, inviò già da
Messina corrispondenze e commenti politici per giornali milanesi, ad es.
"L'Unione" (che erano considerati dal suo direttore tra i migliori
del giornale).
Il 18 settembre arrivò a Napoli, ma, colpito da infiammazione,
fu ricoverato all'Ospedale militare e pertanto non poté partecipare alla
battaglia del Volturno, nella quale fu impegnato il fratello Peppino.
Con la sua intraprendenza e la sua bravura si fece assumere a Napoli
come redattore presso il giornale 'L'Indipendente', fondato, diretto e in gran
parte scritto da Alexandre Dumas padre.
Dato il dualismo tra l'esercito meridionale garibaldino e le truppe
regolari, soprattutto piemontesi, crebbe nei volontari il sentimento
anticavouriano e antigovernativo e tanti pensarono al congedo, specialmente
dopo il ritiro a Caprera di Garibaldi". Scrisse efficacemente Cavallotti
in una lettera al libraio milanese Schiepatti (che gli aveva pubblicato il
citato opuscolo) "Garibaldi se n'è andato a Caprera, ed ha
lasciato i suoi volontari 'nelle pettole' come si suol dire da noi milanesi."
(11)
Tornato dopo sei mesi nella città natale, terminò gli
studi liceali e si iscrisse in giurisprudenza all'Università di Pavia,
mantenendo comunque l'impegno di giornalista presso la "Gazzetta del
Popolo della Lombardia" e "L'Indipendente" di Dumas, annodando
rapporti di lavoro tra il giornale di Milano e quello di Napoli.
Pur critico dell'azione politica della Destra al potere, considerata
inadeguata ai nuovi compiti storico - politici, Cavallotti aveva fiducia nel
nuovo Parlamento, che adunava comunque le migliori energie del paese.
Sul giornale 'Il Campidoglio' scrisse articoli di politica estera,
specialmente sul mondo germanico, cogliendo i limiti di fondo dei dirigenti
Prussiani "Noi disperiamo degli uomini che oggi governano la Prussia:
essi saranno sempre gli uomini del diritto divino, gli avvocati del Papa e del
Borbone, gli uomini che in Varsavia - sulla tomba della Polonia - rinnovarono
il patto d'alleanza coi nemici dell'unità e libertà della
Germania, dell'unità e libertà delle nazioni." (12).
Sempre per far fronte alle ristrettezze familiari tradusse dal tedesco
nel 1863 la 'Vita di Gesù' di Strauss.
La sua vita, tra il 1861 e il 1863, trascorse lontana dal tono degli
anni precedenti, grigia, dissipata tra lavori oscuri, routine giornalistica,
condotta spensierata, con un certo disimpegno democratico che lo portò
anche alla collaborazione nel 1863 a 'Il Carroccio', il giornale cattolico -
liberale allora fondato a Milano dal canonico Giovanni Lega. L'interessante
testata voleva tuttavia promuovere un liberalismo non antireligioso, difendere
il diritti delle nazionalità, sconfessare ogni temporalismo "Nella
vertenza attuale tra la Chiesa e lo Stato è nostra convinzione che le
libertà dell'una e dell'altro non sono essenzialmente inconciliabili; ma
che anzi possono e debbono coesistere insieme, tuttochè distinte."
(13) Accettava pertanto l'esito unitario
e liberale del Risorgimento. Lega voleva anzi che il ventunenne Cavallotti
fungesse quasi da direttore. Egli vi collaborò tra la fine del 1863 e i
primi mesi del 1864.
Ma la più lunga collaborazione giornalistica, durata sette anni,
Cavallotti la ebbe con l'importante quotidiano milanese "Gazzetta di
Milano", di cui nel 1863 divenne redattore fisso, occupandosi soprattutto
di politica estera.
Crebbe il suo nome nell'ambiente giornalistico e a questo periodo
risale il primo duello nel 1864 col il direttore del "Pungolo"
Fortis. La duellomania di Cavallotti era legata sia al suo temperamento
impulsivo e battagliero, ma anche alla convinzione che fosse un modo efficace
per colpire il principio dell'irresponsabilità dell'ingiuria,
così diffuso nell'ambiente giornalistico, spesso prezzolato.
Si laureò in giurisprudenza a Pavia nel 1866, accentuando in
senso democratico la sua posizione politica e collegandosi, sul piano culturale,
col mondo della Scapigliatura lombarda. Suoi amici furono Rovani, Boito, Praga.
Partecipò col fratello Peppino alla Terza guerra di indipendenza
del 1866, che portò alla liberazione del Veneto.
Sostenne nel 1867 la candidatura di Carlo Cattaneo al Parlamento. Nello
stesso anno fu in primo piano
nell'appoggio alla sfortunata impresa garibaldina nello stato pontificio, che
si concluse con la tragedia di Mentana, quando gli zuavi mercenari pontifici, con l'appoggio dei francesi di
Napoleone III, uccisero tanti giovani volontari idealisti. Il popolo romano non
insorse, il governo italiano non si mosse. E Cavallotti scrisse parole roventi
"Torma di femmine e di frati, tienti adunque la gonna e la cocolla, se
a te non s'addice la toga del libero".(14) Da quella indignazione nascerà nel
1869 il suo libro storico "L'insurrezione di Roma del 1867".
Aveva sostituito il direttore del "Gazzettino" Achille
Bizzoni, corso con Garibaldi, e con lui nel 1868 lo modificò nel
"Gazzettino Rosa", che divenne una delle voci più note degli
ambienti democratici. Tra i collaboratori occorre ricordare Felice Cameroni,
Vincenzo Pezza, Giuseppe Mussi, Andrea Ghinosi, Antonio Billia, Carlo Tivaroni,
poeti, deputati, giornalisti, storici del Risorgimento.
Bizzoni era nato a Pavia nel 1841; ardente garibaldino, fu un
giornalista impegnato in aspre battaglie democratiche, che spinse spesso
Cavallotti sulla via dei duelli e fu uno dei padrini nell’ultima mortale sfida.
Diede un importante contributo alla memorialistica garibaldina con il
volume "Impressioni di un volontario all'esercito dei Vosgi"
(1874), interessante testimonianza sull'ultima campagna di Garibaldi del 1870,
durante la quale morì il citato fratello di Felice, Giuseppe.
Scrisse anche il romanzo "L'onorevole" (1895), vivace
accusa della corruzione parlamentare in relazione allo scandalo della Banca
Romana.
Il "Gazzettino Rosa" aveva rapporti, anzi si confondeva con
il più vasto mondo della Scapigliatura, in particolare lombarda. Questa
corrente non fu solo letteraria, ma riguardò il costume, la
sensibilità sociale, gli orientamenti politici spesso democratici,
repubblicani, con aperture anche internazionaliste. Carducci, attratto da quel
fervore di vita, fu all'unisono con gli uomini del "Gazzettino Rosa",
che lo consideravano uno di loro, e divenne amico di Cavallotti. Sentì
con loro l'amarezza di Mentana e nell'epodo per l'amico Corazzini, ferito nella
campagna romana, Carducci esplose contro i francesi, il papa e i preti, fino
all'orgogliosa scomunica "te…/io scomunico, o prete,…/ io sacerdote de
l'augusto vero,/ vate dell'avvenire".(15). Per queste posizioni Carducci
fu minacciato di trasferimento dall'Università di Bologna a quella di
Napoli e fu sospeso per due mesi dallo stipendio.
Di fronte alle poesie adulatorie fiorite in varie parti d'Italia per le
nozze del re Umberto con Margherita, in particolare quella di Giovanni Prati,
Cavallotti, indignato, scrisse sul "Gazzettino Rosa" l'ode " Le auguste nozze. A Giovanni
Prati", che costò il sequestro del giornale e un processo a
Cavallotti. La vicenda, con la successiva assoluzione, rese ancor più
famoso il poeta milanese, che ebbe da allora l'appellativo di
"anticesareo". Criticava le "cetre vendute", contrapponeva
i lutti del popolo ai fasti regali"…vestite di nero/ van le madri
d'Italia in gramaglie;/ ma son d'oro e d'azzurro le maglie/ che rivestono i
cuochi del re."(16).
Tuttavia, quando morì Giovanni Prati, Cavallotti, evidenziando
uno degli aspetti più positivi della sua personalità, seppe dire
parole nobili" o cantore di Savoja, se fu questa la tua fede del primo
giorno e dell'ultimo, non sarà carme democratico che ti sfrondi
l'alloro: poiché vanto al poeta è il vivere coerente, e morire avvolto
tra le pieghe della propria bandiera." (17)
All'amico Airaghi, che gli consigliava moderazione di toni e di
attacchi, Cavallotti rispondeva "Flagella! Flagella! Superbo peana…del
frate Loyola la nera sottana /l'ignavia dei servi /l'orgoglio dei re…/Noi
liberi il Fato, noi giovani e forti/ lanciò della vita sugli ardenti
sentieri: drappello quest'oggi- saremmo coorti /domane, nelle pugne del Giusto
e del Ver". (18)
Pur impegnatissimo sul fronte poetico e giornalistico, aveva ben chiari
i limiti di quell'azione, ai fini del miglioramento della società e del
costume. Diceva all'amico Bizzoni in
versi" povero ingenuo! Tu credi riformare /la gente che il tuo foglio
si accalca a comperar ! Se costasser sì poco le riforme, davvero non
occorrea nascessero né Bruto, né Lutero."(19) Occorrevano, soprattutto
in Italia, caratteri, occorrevano l'azione, il sacrificio, la lotta.
Nel 1869 il fratello Peppino, di simpatie più mazziniane e
repubblicane, fu arrestato. In quello stesso anno morì Carlo Cattaneo,
in onore del quale Cavallotti scrisse un'ode letta durante il ricordo
democratico pubblico, dopo che era stata vietata ogni manifestazione durante i
funerali. Il milanese Cavallotti aveva un vero culto verso il milanese
Cattaneo, eroe delle Cinque Giornate, difensore della libertà, dei
diritti del popolo, così come lo
mantenne verso in altro protagonista del Risorgimento milanese, Enrico
Cernuschi.
Il 'Gazzettino Rosa' di Bizzoni e Cavallotti fu in primo piano nella
denuncia di uno dei primi scandali post - unitari, quello della Regìa
cointeressata dei tabacchi, con somme e favori elargiti ad una sessantina di
deputati per assicurarsene il voto a sostegno del progetto. Era la prima delle
campagne di opinione che sarà portata avanti da Cavallotti fino
all'età crispina, quando si raggiunsero i toni più aspri e forti.
In relazione ai disordini scoppiati a Milani sulla vicenda, i
giornalisti del "Gazzettino Rosa" furono arrestati. Cavallotti si
diede alla latitanza e da quella condizione (nel cuore di Milano)
continuò a dirigere il giornale. Il processo si concluse con le
inevitabili assoluzioni.
Nel 1869 uscì il citato suo libro sull'insurrezione di Roma del
1867, argomento incandescente, svoltosi due anni prima, affrontato con
serietà di documentazione, senza remore di essere troppo vicino
temporalmente. Era dedicato a Garibaldi, di cui apertamente rivendicava la
figura e l'opera, e che fu apprezzata pienamente dal Generale, legatissimo al
poeta. Era il primo volume di una "Collana dei Martiri Italiani"
pubblicato dalla libreria Dante Alighieri di Milano.
Nello stesso 1869 uscì la raccolta della sue poesie, andata
subito a ruba e che suscitò l'intervento della Procura del re, affinché
fosse sequestrata e l'autore arrestato. Cavallotti si fece alcuni giorni di
carcere, a fianco del fratello Peppino. Le poesie di Cavallotti non vanno
giudicate tanto dal punto di vista estetico, mancando di lavoro di lima, ma sul
piano dell'efficacia civile. Come dice Galante Garrone "Cavallotti si era
proposto di far poesia civile, quella stessa di Parini e Foscolo, di Giusti e
di Carducci". (20)
Nel 1870 conobbe Bakunin di passaggio a Milano, consolidò i suoi
rapporti con le società operaie, accentuò il suo furore
antisabaudo. In occasione di una cerimonia presso gli ossari di S.Martino e
Solferino, in replica ad una poesia di Giacomo Zanella filosabauda, aveva
criticato la "servil zampogna" i " bugiardi metri",
ricordando ad es. la viltà di Carlo Alberto "Qui a l'Alemanno un
dì volgea le spalle /il Savoiardo pallido e fuggiasco"(21)
Scoppiata la guerra tra la
Francia di Napoleone III e la Prussia, la sinistra democratica lombarda, tra
cui Cavallotti, firmò un manifesto per la neutralità, nel
rispetto del principio di nazionalità a favore della Germania e nel
ricordo doloroso di Mentana, contro orientamenti governativi a favore di
Napoleone III. Vi furono agitazioni e disordini e tra i primi arrestati vi fu
Cavallotti, che restò in carcere tre mesi fino ad ottobre, proprio nei
giorni in cui si chiudeva la questione romana e in Francia tornava la
Repubblica. Si ebbe allora in tutti i democratici italiani un'inversione di
atteggiamento verso il vicino paese latino e Garibaldi da Caprera invitò
a sorreggere la repubblica con tutti i mezzi, fino a partire egli stesso per la
Francia contro il re tedesco, non vindice di libertà, ma oppressore di
popolo.
Avendo maturato una posizione diversa dagli amici del "Gazzettino
Rosa" sul ruolo della presenza in parlamento, sulla base anche
dell'esperienza fatta in Francia durante il Secondo Impero, che aveva
affrettato la crisi di esso, Cavallotti decise di dar vita ad un suo giornale,
il "Lombardo", per il quale scriveva le seguenti finalità
"L'Italia ha bisogno, più che di ingegni, di
caratteri…rafforzare la tempra morale…Gridare libertà e democrazia, nomi
santi, non basta, se il culto loro si chiude nella cerchia di un
indifferentismo passivo, o di una inerzia sdegnosa…Noi abbiamo della
libertà un concetto diverso; presumiamo maggiormente della forza, della
virtù di espansione che è in lei…ogni riforma, per quanto segni
un breve passo sulla via del progresso, sarà da noi propugnata; e
massimo progresso reputeremo non quello che porta le idee più in alto,
ma benanche quello che meglio e più le diffonde fra le moltitudini"(22).
E al programma aggiungeva una personale postilla"…Abbiamo una parola
d'ordine: onestà;- una religione: giustizia ed uguaglianza,
libertà e progresso;- un usbergo: la coscienza delle nostre opere;-
un'arma: il coraggio delle nostre opinioni." (23). E sul giornale
ospitò interventi di Bertani (di cui si parlerà dopo),
così presentato da Cavallotti "Mazzini è una mente e un
cuore; Garibaldi un cuore ed un braccio. Bertani è una volontà…E'
l'antitesi della retorica…Non parla, ragiona".(24)
Il giornale assunse fin dai primi numeri un tono di battaglia,
attaccò il governo Lanza, i soprusi della polizia, gli scandali
elettorali e diede largo spazio alla spedizione garibaldina in Francia, dove
era accorso il fratello Peppino, che morì in combattimento il 21 gennaio 1871 a Digione e finì in una fossa
comune. Garibaldi lo ricordò più volte con rimpianto e senso di
colpa, scrivendo a Felice, da lui definito "poeta del cuore - e vate della
libertà vera".(25). Felice ebbe il conforto della madre dei
Cairoli, Adelaide, che venerava, e scrisse per il fratello la poesia "Dijon
21 gennaio 1871. In morte di mio fratello", fra le più sincere
e commosse da lui composte.
Difese socialisti e internazionalisti, esaltò gli eroi e le
vittime della Comune di Parigi, anche se Cavallotti non fu mai formalmente
socialista e internazionalista.
Nel marzo del 1871 il giornale fu sequestrato e il direttore
incarcerato per pochi giorni, per propaganda repubblicana. Poi, anche per
sopraggiunti problemi finanziari, il periodico cessò le pubblicazioni.
Scrisse un opuscolo "Della proprietà letteraria ed
artistica e sua perpetuità", per motivi pratici e di principio.
La sua raccolta di poesia veniva ristampata senza che ne venisse alcun utile a
lui, che aveva problemi economici pressanti. Egli ricordava che gli autori
"d'aria non vivono", "la gloria, certo, è
bellissima cosa, ma a stomaco pieno" (26) L'opuscolo era composto in
forma di lettera all'amico deputato Antonio Billia, che si stava battendo in
Parlamento proprio per fare approvare una legge in tal senso.
Riprese il lavoro della collana sui martiri italiani, preparando materiali
su Santorre di Santarosa, i martiri di Rubiera, i giustiziati del 1833
(pubblicati poi in un volumetto nel 1892 da Sonzogno), tutti tesi a demolire il
mito sabaudo allora imperante, e impostò lavori sui martiri della
repubblica napoletana del 1799 e una biografia su Cattaneo.
Sentì ancor più il distacco da Mazzini, specialmente dopo
la condanna della Comune e le accuse di materialismo rivolte agli ambienti
democratici vicini al "Gazzettino Rosa" e all'Internazionalismo. La nuova generazione
aveva riconoscenza verso il profeta dell'Unità e della Repubblica, ma
non lo seguiva sul piano dogmatico e religioso. Diceva Pezza su "Il
Gazzettino Rosa" "Noi giovani materialisti non ci curiamo di
ciò che sarà l'anima quando saremo morti, ma vogliamo che sia
qualcosa mentre siamo vivi…Mazzini è andato troppo alto e le nostre ali
sono troppo tarpate dalla ragione per potergli tenere dietro. E' colpa dei
tempi, tutti vogliono ragionare, e nessuno accetta dei dogmi…Quello che
combattiamo in Mazzini non è l'opinione per se stessa, sebbene
l'opinione eretta a sistema ed a dogma politico. Noi siamo materialisti, ma non
facciamo del materialismo una scuola politica. A noi poco importa che uno creda
o non creda in Dio…Mazzini invece vuole imporci una nuova religione…Non siamo
noi che lo abbandoniamo; è lui che ci condanna."(27)
Nel 1871 Cavallotti iniziò l'attività teatrale con la sua
prima opera "Pezzenti", dramma storico incentrato sulla
rivolta delle Fiandre nel Cinquecento contro l'assolutismo di Filippo II.
Seguirono nel tempo altri drammi , come l' "Alcibiade" (che
rivelava l'amore per la Grecia classica,
la sua vera patria ideale).
Nel 1872 morì Mazzini, nel 1873 scomparve Manzoni. Per l'uno e
per l'altro Cavallotti scrisse poesie, che attestano sentimenti di commozione e
di gratitudine. L'ode "In morte di Alessandro Manzoni" fu
pubblicata nel giorno stesso delle esequie. Coglieva del grande e illustre
concittadino l'amore per l'Italia, lo sdegno dei potenti e" puro
serbarsi al canto /mai non tradire il vero…/ vergin d'encomio servo/ chiuse
le luci al dì."(28)
Il 10 agosto 1873 morì all'improvviso, a trentasette anni,
l'amico avvocato Antonio Billia, fiero deputato di Corteleona (Pavia), vicino
alle idee di Cavallotti e "partecipazionista" come lui sul piano
elettorale e parlamentare.
Dovendosi provvedere alla sua sostituzione, tutti gli ambienti
democratici pensarono a Cavallotti. Garibaldi gli scrisse una lettera personale
"dissessioni da parte dei nostri e corruzione infiltrata nelle moltitudini
ci rendono impotenti ad agire come vorressimo, quindi consiglio l'arena
parlamentare ove sembrami possibile far progredire la causa santa" (29) e
così parlò di Cavallotti in una lettera precedete rivolta a
Griziotti "Dite agli elettori di Corteleona che Cavallotti vuol dire: Onore
italiano,- Religione del vero,- Dignità umana. - Non so chi diavolo
vorrebbe significare di più."(30).
Così entrò alla Camera a 31 anni, ricevendo
l'approvazione, tra gli altri, del grande democratico siciliano Saverio
Friscia, vicino agli internazionalisti, presidente nel 1867 a Napoli
dell'associazione "Libertà e Giustizia", che pubblicò
anche un omonimo periodico (di recente pienamente studiati).
Il giorno prima di giurare fece dichiarazioni alla stampa, nelle quali
proclamava la propria posizione politica e alle quali fece riferimento il
giorno dopo, rispondendo poi, alle richieste di onore sul giuramento fatto, con
queste parole "Al mio onore ci penso io e ne rispondo ai miei elettori
e al paese". (31)
Riconfermato fino alla morte per ben dieci legislature, Cavallotti
sedette sempre all'Estrema Sinistra, divenendone in breve tempo uno dei capi
più autorevoli e amati.
In Italia le prime formazioni stabili di Sinistra parlamentare si erano
avute nel Regno di Sardegna, dove avevano fatto proprio il programma
indipendentistico nazionale, sostenendo, in polemica coi moderati, la
necessità di uno scontro frontale con l'Austria. Staccatasi da tali
gruppi la corrente di Urbano Rattazzi,
sorse il “connubio” Rattazzi - Cavour, che diede vita a quella formula di
governo di Centro - Sinistra tipica del “decennio di preparazione”.
Dopo l'unificazione del Regno d'Italia, ai tradizionali raggruppamenti
della Sinistra subalpina si vennero ad aggiungere i rappresentanti del Partito
d'Azione mazziniano e garibaldino, originando così un raggruppamento
della Sinistra parlamentare non omogeneo e dalla vita interna assai
travagliata. Ben presto, infatti, si arrivò all'enucleazione di una
Sinistra Estrema, composta di deputati di orientamento repubblicano e radicale,
capeggiata da Agostino Bertani prima e Felice Cavallotti poi (accanto a forti
personalità politiche come Friscia, Saffi, Bovio, Mario, Imbriani,
Campanella) e caratterizzata da forti istanze riformatrici in campo politico,
economico e sociale, e di una Sinistra storica, guidata da Depretis e Cairoli,
collocata su posizioni politiche più possibiliste e di governo. Fu
appunto questa formazione di Sinistra storica ad assumere la direzione del
Paese dopo la caduta della Destra storica (avvenuta con la “rivoluzione parlamentare”
del marzo 1876), guidandolo sulla via delle prime riforme significative:
abolizione della tassa sul macinato, riforma scolastica, riforma elettorale.
Cavallotti apparteneva quindi
alla sinistra democratico - radicale più nel solco di Garibaldi e di
Bertani, che in quello di Mazzini (seguito dai repubblicani puri e
intransigenti).
Mazzini rimase sempre, fino alla morte, mistico e profeta, confermando,
come dice Spadolini "la sua avversione intransigente alle leggi e alle
regole della tattica, la natura religiosa del suo messaggio che prescindeva da
tutte le remore, i consigli e le prudenze della 'ragion di Stato' per guardare
ad un solo obiettivo, il 'riscatto' dell'Italia, la sua 'redenzione' e '
trasmutazione' ". Spadolini riporta l'amara riflessione del 'Mosè
dell'Unità' nel 1870, alla presa monarchica di Roma, col sovrano sabaudo
che rassicurava il Papa chiuso in Vaticano "Questa è l'Italia del
passato… E l' Italia, la mia Italia, l'Italia dei nostri sogni ? L'Italia, la
grande, la bella, la morale Italia dell'anima mia ?" (32)
Garibaldi è stato visto spesso solo come il grande condottiero
popolare, ma poco politico e spesso ingenuo. In realtà non è
affatto così: a lui si devono
alcuni fondamentali passaggi per l'inserimento delle forze democratiche
nel nuovo stato unitario. Dice Spadolini "Garibaldi era dotato di un
autentico 'fiuto' politico, di una coscienza acuta dei problemi e delle
opportunità, di una percezione vigile dei limiti e delle occasioni
storiche: non raffinata, non approfondita magari, ma istintiva ed
elementare."(33)
Con la morte di Mazzini nel 1872 si chiuse un periodo storico,
finì l'età delle intransigenze e delle ribellioni e si aprirono
nuovi possibili scenari di impegno. Da Caprera, dove si era trasferito
definitivamente, Garibaldi osservava che era vero che "il presente, per
isventura della nazione, è ancora delle monarchie, dei preti e del
privilegio", ma proprio per questo occorreva l'unificazione di tutti i
democratici, una "aggregazione in una sola di tutte le società
esistenti che tendono al miglioramento morale e materiale della famiglia
italiana" e poi bisognava prendere atto della dura realtà e
rimandare nel futuro la risoluzione del problema istituzionale, pur
nell'adesione ideale al repubblicanesimo "Essendo tutti noi aderenti al
governo della gente onesta, il repubblicano, e non potendo per ora attuarne il
sistema, sembrami possibile differire a miglior tempo il più largo
svolgimento della quistione politica."(34)
Egli indicava in alternativa alcuni altri grandi obiettivi da
raggiungere (che illumineranno il più analitico programma radicale): il
suffragio universale per l'instaurazione di una vera democrazia in Italia, il
decentramento con base nel comune, l'istruzione laica, obbligatoria e gratuita,
per l'emancipazione intellettuale dalla superstizione religiosa e dalla
servitù clericale, l'attuazione dell'imposta unica col logico principio
dell'applicazione progressiva, il materiale sollievo del proletariato, con grandi
opere pubbliche, specialmente bonificando i due quinti del territorio italiano
incolto o paludoso, utilizzando i 115 milioni dei beni ecclesiastici invenduti.
Del 1873 è il citato invito a Cavallotti ad entrare in Parlamento.
La posizione di Garibaldi era, come si può notare, di grande
realismo. Come dice Spadolini "I criteri e gli orientamenti di ieri non
esaurivano più gli scopi della democrazia: Roma e Venezia ormai
conquistate, l'unità del regno assicurata, l'Austria cacciata da quasi
tutto il territorio nazionale, il Papa 'prigioniero' nel Vaticano, l'influenza
clericale debellata, tutti i gradi dell'insegnamento laicizzati, l'esercito
sottratto alle influenze e alle suggestioni dell' "ancien regime", la
burocrazia liberata dai residui legittimisti e reazionari, la cultura imbevuta
di tutte le nuove convinzioni e di tutte le nuove certezze. Niente era
più assurdo di un'opposizione di regime, un'opposizione aprioristica e
dogmatica, e neppure la polemica istituzionale (pur ancora ardente e appassionata)
poteva soddisfare gli spiriti irrequieti e anelanti all'azione, le
volontà portate alle battaglie e alle affermazioni politiche piuttosto
che alle dissertazioni ideologiche o alle evasioni moralistiche. E' appunto in
questi anni fra il 1873 e il 1875, che si opera la definitiva separazione dei
repubblicani dai radicali." (35)
Nel 1875 Garibaldi venne a Roma, per la prima volta dopo il 1849,
incontrò Vittorio Emanuele II, che restò in piedi per tutto
l'incontro a capo scoperto, mentre il vecchio generale era seduto col capo
coperto dal berretto garibaldino. Parlò col re e con Quintino Sella dei
progetti che più gli stavano a cuore: la canalizzazione del Tevere per
collegare Roma al mare e la redenzione dell'agro pontino. Il sottinteso degli
incontri, teso ad indicare le nuove vie di impegno politico, non sfuggì
a nessuno.
Accanto a Garibaldi, l'altra figura importante nella storia della
democrazia radicale dell'Ottocento, fu il citato Agostino Bertani. Medico e
patriota, era nato nel 1812 a Milano (come Cavallotti). Repubblicano, amico di
Cattaneo e di Mazzini, partecipò alle Cinque Giornate (1848),
mostrandosi favorevole alla collaborazione di tutte le forze italiane anche
sotto la direzione sabauda, ma opponendosi poi all'annessione immediata al
Piemonte e alla costituzione di un regno dell'Alta Italia.
Lasciata la città all'entrata delle truppe austriache e recatosi
alla difesa di Roma (1849), si rifugiò in seguito a Genova (1850), dove
svolse intensa attività come medico durante l'epidemia di colera del
1854.
Prese poi parte con i Cacciatori delle Alpi alla guerra del 1859,
preparò e sostenne la spedizione dei Mille, tentando di portare la
rivolta anche nello Stato Pontificio; combatté nel 1866 e fu a Mentana con
Garibaldi (1867), benché avesse in precedenza disapprovato l'opportunità
di tale spedizione.
Deputato fin dal 1860, fu uno dei capi dell'opposizione anche nel
periodo di governo della Sinistra storica, propugnando la riforma dello
Statuto, la più netta separazione tra Chiesa e Stato e l'adozione del
suffragio universale. Aperto alle questioni sociali, sostenne la
necessità dell'intervento dello Stato in materia economica, fu tra i
fondatori del giornale 'La Riforma' ed ebbe parte di rilievo nell'inchiesta
agraria Jacini. A lui si deve il Codice per la pubblica igiene (1885);
fu editore degli scritti di Cattaneo. Morì a Roma nel 1886.
Le origini storiche e ideologiche del partito democratico radicale
risalgono, come si può evincere dalle biografie di Bertani e
Cavallotti, al Risorgimento e al Partito
d'Azione mazziniano e soprattutto garibaldino. È infatti con la
dissidenza dal repubblicanesimo mazziniano intransigente che si
organizzò, sotto l'ispirazione di Garibaldi, la guida prima di Bertani e
più tardi di Cavallotti, un primo
coerente gruppo di Estrema Sinistra.
La formulazione più ampia ed organica del programma di
democrazia radicale si ebbe nel 1890 (steso in gran parte da Cavallotti) col
'Patto di Roma', al termine di un grande congresso (nel maggio al Teatro
Costanzi), che indicò analiticamente gli obiettivi della lotta: nessuna
ingerenza della Chiesa nella vita dello Stato, nessuna conciliazione o
concordato, bastando ampiamente il principio della libertà religiosa e
le leggi ordinarie; la consultazione della nazione, quando fossero stati in
gioco interessi e decisioni supremi; l'indennità ai deputati, per
permettere anche ai meno abbienti di accedere a ruoli dirigenti; la
possibilità di convocare il
parlamento in casi urgenti o per atti gravi del governo, anche in tempo di
vacanze e di chiusura di sessione; la rivendicazione di tutti i diritti di
riunione, di associazione, di stampa; una legge speciale sulle
responsabilità dei ministri, l'esclusione dei membri del governo dal
voto di fiducia, il divieto del cumulo dei ministeri nella stessa persona; il
mantenimento al potere centrale (secondo le lezioni di Cattaneo e di Ferrari)
solo di poche fondamentali competenze, decentrando tutto il resto, giacché la
tutela accentratrice, eccessiva, provoca la paralisi della vita generale; lo snellimento
della burocrazia e l'eliminazione dei ministeri inutili; l'ideale di una Roma
laica e civile, capitale della scienza e della democrazia, con richiami alla
'terza Roma' di Mazzini e alla tradizione illuministica e rivoluzionaria (che
il grande sindaco democratico Ernesto Nathan cercò di realizzare, spesso
riuscendovi, nel primo decennio del Novecento); l'indipendenza della
magistratura, la semplificazione del processo civile, il gratuito
patrocinio per i poveri, la giuria nei
processi politici, l'indennità ai cittadini ingiustamente accusati e
colpiti; l'abolizione della pena di morte e la revisione del codice penale;
l'educazione gratuita ai poveri e meritevoli dall'asilo all'Università,
l'istruzione laica e obbligatoria per i primi cinque anni delle elementari,
l'autonomia piena delle Università; la riduzione della ferma e delle
spese militari, considerando tutti i cittadini militi, non soldati; le otto ore
di lavoro, la cassa pensioni per la vecchiaia e gli infortuni, l'istituzione di
camere del lavoro e di collegi di probi viri, sanzioni per gli imprenditori
imprevidenti, con l'obbligo del risarcimento danni; l'esenzione dal dazio dei
beni di prima necessità, l'imposta unica e progressiva (vecchio mito
garibaldino); un vasto programma di lavori pubblici, la bonifica della terra,
con la redenzione dell'agro pontino e la trasformazione della valle padana; un
argine agli abusi anche della manomorta laica, espropriando le terre incolte,
incamerando quelle mal coltivate, con concessioni dirette agli agricoltori,
alle cooperative, alla piccola proprietà; lotta all'emigrazione;
fratellanza latina con la Francia, divenuta repubblica laica e democratica,
simbolo degli obiettivi della politica radicale e riferimento delle speranze
progressiste, amicizia cordiale con l'Inghilterra; opposizione all'imperialismo
e al colonialismo, alla luce della pregiudiziale sacra alle generazioni del
Risorgimento del rispetto delle nazionalità, anche di colore, e della
priorità dei problemi interni (bisognava pensare al nostro Mezzogiorno e
non all'Eritrea); gli Stati Uniti d'Europa, che non dovevano escludere l'amore
della patria e la difesa accalorata della propria nazionalità "indarno
ameremmo l'umanità tutta intera; gelido e sterile sarebbe l'amore se
prima non intendesse le care voci e i doveri che gli parlano dal focolare
domestico, dalla culla dei padri, e le voci solenni che dai balzi delle Alpi e
dalle spiagge dei due mari gli rammentano gli orgogli di una più grande
famiglia" (36); infine l'emancipazione della donna, con l'allargamento
del diritto di voto ad esse e la lotta contro la prostituzione e le case di
tolleranza, nella quale si distinse Ernesto Nathan, il futuro, grande sindaco
di Roma.
Il Partito Radicale si costituì formalmente come tale proprio
nel 1890, primo dei partiti politici in senso moderno, seguito poi, nel 1892,
dal Partito Socialista e, nel 1895, dal Partito Repubblicano,
(intransigentemente antimonarchico e antiparlamentare). L'ideale di Cavallotti
e dei democratici di estrazione garibaldina è il "Partito delle
mani nette", che vive soltanto delle sottoscrizioni degli aderenti o
'militanti', quasi "oboli dei credenti laici". (37)
Il Partito Radicale lottò con socialisti, repubblicani, liberali
progressisti durante la crisi reazionaria della fine del sec. XIX; nel primo decennio del Novecento
appoggiò la svolta liberale di Giolitti, fornendogli un valido appoggio
nell'ambito parlamentare e governativo. Dopo la crisi del primo dopoguerra, il
Partito Radicale si frantumò in molte piccole formazioni. Alcuni di
questi gruppi, guidati da Giovanni Amendola, furono tra i protagonisti
dell'opposizione più irriducibile al fascismo (es. l'Aventino) e alcuni
suoi esponenti continuarono a operare nella clandestinità, subendo il
carcere e il confino. Specialmente Amendola con la sua ’Unione Democratica
Nazionale’ e con la battaglia sulla ‘questione morale’(dopo il delitto
Matteotti), può essere considerato uno degli eredi più
diretti e moderni della linea politica
di Cavallotti, tesa a porre in primo piano quei valori fondamentali della
convivenza e ad aggregare su un fronte ampio le forze di democrazia laica, in
stretta collaborazione, come Cavallotti, con Turati (e col suo Partito
Socialista Unitario del 1922, il primo, seppur non pienamente consapevole,
tentativo politico in direzione liberalsocialista nella storia della sinistra
italiana, che ebbe nel suo simbolo elettorale la parola ’Libertà’ in
grande e ‘Socialismo’ in piccolo sullo sfondo del sole nascente , mentre Carlo
Rosselli, che divenne poi il teorico più
lucido e moderno del fondamentale approdo teorico e politico, definì
già nello stesso 1924 Matteotti il primo martire ’socialista liberale’).
L'espressione 'Partito Radicale' fu ripresa nel 1956 da liberali di
sinistra, legati in gran parte all'esperienza del famoso settimanale "Il
Mondo" di Pannunzio (che si ispirava sia a Croce che a Salvemini), usciti
dal Partito Liberale nel 1955. Esso non riuscirà ad avere una
rappresentanza parlamentare, ma, come dice efficacemente Spadolini, "svolgerà
una funzione essenziale nel dibattito culturale e civile del paese, che
preparerà e alimenterà la tematica del centro - sinistra, o
almeno di un certo centro -sinistra, quello che meno si attuerà nella
logica degli schieramenti politici. Eresia liberale, ma non solo quella.
Dominato dai Pannunzio e dai Carandini..., tesi a ripristinare un'autentica
ortodossia liberale - progressista, contro contaminazioni e commistioni di ogni
sorta; ma con la componente degli Ernesto Rossi e dei Leopoldo Piccardi, di
diversa e più complessa estrazione. Sullo sfondo: un gruppo di giovani o
giovanissimi liberali dissidenti, in cui comincia ad affiorare il nome di Marco
Pannella. Nel nucleo fondamentale che anima e promuove quella scissione, che la
sorregge attraverso le pagine del 'Mondo', un richiamo alla linea scabra e
asciutta del radicalismo britannico, tutto cose e problemi, alieno da evasioni
retoriche e da vibrazioni massimaliste, teso ad una reinterpretazione moderna,
e non statica e conservatrice, dei diritti di libertà, ma anche di
libertà economica, contro le ritornanti tentazioni monopoliste, contro i
rinnovati feudalismi non importa se del potere privato o del nascente e
prepotente potere pubblico."(38)
Con l'avvento di Pannella il Partito Radicale, dagli anni Settanta ad
oggi, ha ricevuto una svolta nel suo impianto di fondo (dalla democrazia
rappresentativa alla democrazia tendenzialmente diretta, dall'ottica italiana e
dei principi dell'89 a quella sovranazionale e nonviolenta), nei suoi assi culturali, nel suo modello organizzativo,
tali da renderlo completamente altro sia dal Partito Radicale dell'Ottocento,
sia da quello del 1956.
Della nobile e fondamentale esperienza democratico - radicale
Alessandro Galante Garrone e Giovanni Spadolini sono stati tra i principali, sensibili
e amorosi storici. Spadolini così essenzialmente valuta il contributo
delle correnti di ispirazione democratica e radicale del post - Risorgimento:
“esse furono decisive nella lotta per l'allargamento delle basi dello Stato e
per il consolidamento delle istituzioni liberali scaturite quasi
miracolosamente dalla soluzione politico - diplomatica del Risorgimento e
sopravvissute a tutte le prove, a tutti i tentativi di reazione o di
restaurazione. Il partito radicale, nell'arco di tempo e di contrasti che va
dalla 'Lega della democrazia' di Garibaldi al 'Patto di Roma' del '90,
rappresenta il momento di inserzione silenziosa e faticata dell'Italia
repubblicana nella vita del Parlamento; l'esperimento trasformistico di
governo, attuato da un antico collaboratore di Mazzini come Depretis, sanziona,
press'a poco negli stessi anni, l'assunzione diretta e pesante di
responsabilità ministeriali da parte di quella Sinistra storica, da cui
l'ala radicale si era gradualmente e lentamente distaccata. Non senza conservare
quei vincoli di educazione, di mentalità, di cultura, che porteranno il
radicalismo e la Sinistra a confluire sulla stessa trincea ideologica di fronte
al tentativo reazionario a e autoritario di fine secolo. E prepareranno il
successivo ingresso "pleno jure" dei radicali nel governo, in piena
età giolittiana, nell'età che rinnoverà su un piano
più largo e audace gli equilibri già tentati da Depretis.
Tappe di una graduale ascesa della democrazia che sarà
interrotta e spezzata dal fascismo e dalla guerra. Pur lasciando a noi, nipoti
lontani venati di nostalgia, un esempio di stile e un insegnamento di costume
cui spesso si volge la nostra mente nei momenti di pausa e di
raccoglimento."(39)
Il primo Cavallotti parlamentare non poteva competere con il prestigio
e l'autorevolezza di Bertani e rimase un po’ nell'ombra. Man mano
acquistò sicurezza ed esperienza e si batte con vigore sui mali antichi e nuovi del paese. Bertani
gli riconobbe il raro merito di chi" sa dire con nitidezza e schietta
vivacità pane al pane, e non lascia fraintendere le sue
intenzioni".(40).
Condivise coi compagni la critica alle leggi delle guarentigie, che
intendevano salvaguardare comunque privilegi ecclesiastici, e la lotta contro le esorbitanze del clero.
Seguì l'avvicinarsi della Sinistra storica al potere, non
osteggiando l'apertura tattica di Bertani, ma rivendicò nello stesso
tempo una posizione più libera di critica e di iniziativa politica.
Così diede vita nel 1875 ad un giornale, che fosse la voce "della
democrazia radicale e della estrema sinistra…Aiutare a dissipar gli equivoci
che scindono la democrazia, e a cementare la unione fra tutte le sue frazioni,
dentro e fuori la Camera…sostenni e suggellai il connubio dei radicali coi
progressisti, sostenni e salutai vittoriosa alle urne l' alleanza di Bertani
con Cairoli."(41) Il nome del giornale: la "Ragione".
Sentiva cioè il bisogno di una voce più libera, anche perché,
come aveva detto incisivamente in un discorso poco tempo prima "la
libertà tace dove le coscienze non parlano"(42)(p.33().
Salutò con favore la vittoria della Sinistra storica e l'avvento
di essa al potere nel 1876 (essendo formata da antichi compagni), ma, nel dare
gli auguri, li avvertiva che" ci prepariamo a proseguirli
altresì della nostra più attenta vigilanza…Se il governo oggi
è di sinistra, ha pur bisogno che un'estrema sua parte lo ammonisca, lo
sospinga ad ogni passo"(43). Criticava le astratte posizioni
immobiliste e attendiste dei repubblicani, rivendicando il valore dei concreti,
graduali passi in avanti "Quanto a quei repubblicani, i quali
pretendono rinchiudersi nella contemplazione astratta dei loro ideali,
standosene immobili, come lo Stilita sulla sua colonna, ad osservare intorno a
loro lo svolgersi degli eventi, noncuranti dei bisogni e dei mali del presente,
aspettando a braccia conserte che l'avvenire riveli loro d'un tratto, in un sol
giorno, i suoi segreti- sia pur questa, e rispettiamola, la loro fede- ma ogni
ingiustizia riparata, ogni legittimo interesse soddisfatto, ogni lacrima di
povero asciugata - qualunque sia la mano riparatrice- troverà sempre un
posto nei canoni della fede nostra."(44)"Accettiamo il bene
senza perdere di vista il meglio"(45). In questo tipo ethos radicale
del milanese Cavallotti si svolse la prima formazione politica dell'altro
grande lombardo Filippo Turati.
Ma il rimando e l'attenuazione del programma enunciato a Stradella
(Pavia) da Depretis, l'emergere di comportamenti autoritari verso gli
internazionalisti con l'arresto e l'ammonizione ad es.di Andrea Costa e la repressione sociale in Sicilia spinsero Cavallotti e l'Estrema (es. Bovio,
Friscia) verso posizioni sempre più critiche, fino all'aperta
opposizione verso gli antichi compagni, in nome dei diritti di libertà
calpestati. Cavallotti non sarà mai formalmente internazionalista,
socialista, perché, pur sentendo il
problema sociale, lo porrà di più sul piano etico - politico,
istituzionale, parlamentare, senza focalizzare più a fondo il livello
sociale ed economico, da cui derivava la diseguaglianza e su cui
bisognava, secondo la diversa visione
socialista, decisamente intervenire. Ma Cavallotti non si sentiva affatto
distante dal socialismo, nella sostanza, al di là della questione dei
nomi: lo era" a modo suo...perché, senza tanto monopolizzar la parola,
credo che con me siano in fondo socialisti tutti gli uomini di mente e di cuore
che studiano, intendono le miserie, le ingiustizie flagranti, i dolori onde
sorge il problema sociale, e ne cercano e ne invocano le giustizie e i rimedi."(46)
Continuava a scrivere drammi e poesie, trapassando nell'immaginario del
suo pubblico garibaldino, libertario, democratico, anticlericale, dalla figura
di poeta anticesareo a "bardo della democrazia".
Nel 1878 pubblicò la traduzione delle poesie del lirico greco Tirteo
(dato il citato suo amore per la Grecia antica) e vi premise un'ode a Carducci,
incitandolo ai carmi battaglieri della sua giovinezza "Lottiam ! Questo
è il destino/che sul poeta incombe/ fin che sul suo cammino/mandin voce
le tombe:/fin che geman le carte/ di eleganti viltà:/ fin che non rida
all'arte/ una men fiacca età."(47)
All'Italia occorreva ancora una poesia civile, come quella di Tirteo e
di Carducci, per far intendere i veri essenziali, profondi problemi storico - sociali, da affrontare
"statisti, pubblicisti, economisti, filosofi s'incontrano, si
azzuffano; ma le moltitudini…tendono l'orecchio indarno per udire qualche voce
di poeta, che a loro riveli i problemi del loro avvenire che la loro anima
intenda." (48)
Quando nel 1878 si ebbe il primo governo Cairoli (il combattente del
Risorgimento, esponente di quella commovente ed eroica famiglia pavese, che
aveva dato tutti i suoi figli alla patria), da parte di Bertani e Cavallotti e
dell'Estrema Sinistra fu dato il voto di
fiducia, pur condizionato. Un'apertura venne anche da esponenti repubblicani
meno intransigenti, quali Ghisleri e Mario, che si raccoglievano intorno alla
"Rivista Repubblicana", che erano ideologicamente vicini a Cattaneo
(non solo per il federalismo, ma "per l'incitamento a calare le idee nella concreta realtà, a non
estraniarsi dai problemi della vita nazionale" (49) ) e alla democrazia
lombarda più avanzata.
Ma la caduta di Cairoli e Zanardelli, che segnò la fine della
spinta liberaldemocratica, l'affermarsi dello stile depretisiano di governo,
ricondussero alla dura opposizione Cavallotti e l'Estrema, che difesero le
associazioni repubblicane, verso le quali si erano avute arbitrarie violenze e
avviarono intese proprio in quella direzione. Nel 1879 Cavallotti scriveva sulla
"Rivista Repubblicana" e nell'aprile di quell'anno si giunse alla
fondazione della "Lega della democrazia", che, secondo
Cavallotti, doveva allargare e rinsaldare il fronte dell'Estrema Sinistra e
diventare l'asse di una nuova, più ardita politica, nel Parlamento e nel
paese. Essa fu lanciata a Roma durante una grande riunione convocata su
iniziativa radicale, con la presidenza di Garibaldi, la presenza di
personalità repubblicane quali Saffi e Campanella, oltre Bertani,
Cavallotti, Carducci, Imbriani. Quel 26 aprile 1879 così Garibaldi parlò "Cospicui patrioti di ogni
classe, nobili ingegni, decoro del nostro paese, i quali s'illustrarono nel
preparare e nel comporre ad unità di nazione l'Italia dal 1821 in poi,
militano nel campo della democrazia e vi milita la gioventù
generosa." La Democrazia italiana doveva battersi "per il men aspro
vivere dei diseredati della fortuna, per la giustizia sociale, per la
libertà inviolabile." (50). Insomma per “un più grande Risorgimento”,
come dirà nel 1880.
Il nuovo schieramento assunse come bussola quella di battersi per due
delle riforme promesse dalla sinistra e non realizzate: l'abolizione
dell'odiosa tassa sul macinato e l'allargamento del suffragio, temi sui quali
si verificò una crescente convergenza di radicali, repubblicani e
socialisti. Un'altra rivendicazione fu quella dello scrutinio di lista in luogo
dell'uninominale. Come dice Galante Garrone "Si voleva e si sperava di
distruggere, con il nuovo sistema, o almeno di ridurre la preponderante influenza
dei moderati nei singoli collegi, influenza basata sul prestigio personale e
sui legami clientelari da lungo acquisiti specialmente nei piccoli centri
rurali; e insieme di agevolare l'avvento di uomini nuovi, sulla base di
programmi, di più larghe intese fra le correnti democratiche, di idee
più che di persone e di personalismi." (51).Come dice efficacemente
lo stesso Cavallotti "obbligare gli elettori, i cittadini a guardare
più in là dove arriva l'ombra della chiesa del loro villaggio, di
obbligarli ad aguzzare la loro vista di uomini liberi; a sentire, all'infuori
della cerchia in cui vivono, la vita degli interessi collettivi, e dunque
quello anche di orientare la vita politica italiana al di sopra dei meschini
problemi locali, verso "l'idea italiana"." (52)
E la spinta che vide Cavallotti sempre sulla breccia, a fare quasi il
"cane da guardia" (efficace nomignolo che si era dato) produsse i
suoi effetti con le riforme elettorali del 1882, con l'allargamento del
suffragio e lo scrutinio di lista.
Altra battaglia fu quella per l'indennità parlamentare, che come
dice efficacemente Cavallotti "consacra il diritto sovrano di scelta
degli elettori; consacra il diritto delle classi povere alle funzioni anche le
più alte della vita pubblica; sopprime dentro la Camera una rivoltante
ingiustizia e disuguaglianza di privilegi e di sacrifizi fra colleghi e
colleghi;… assicura l'indipendenza del voto, l'assiduità dei lavori, la
serietà delle discussioni; mette alla porta i dilettanti, eleva il
mandato rendendolo più severo."( 53)
Nella battaglia per l'allargamento del suffragio, i rapporti con
Garibaldi si fecero più stretti. Garibaldi per vari motivi si era legato
lungo gli anni a Cavallotti, come a un
figlio, fino a scrivere per lui anche una poesia" Salve o cantore dei
Pezzenti! O prode/ vendicatore delle plebi…/Dimmi Felice, questa
manomessa/plebe dalla tirannide e dal furbo/seminatore di menzogne, un
giorno/non avrà di vendette ?"(54).
Nel 1880 Garibaldi si recò a Genova e Cavallotti gli fu sempre a
fianco. Nel novembre venne a Milano sempre per un grande comizio per
l'allargamento del suffragio e per l'inaugurazione del monumento ai caduti di
Mentana. Nella sua Milano Cavallotti fece da segretario al generale e ne
ebbe la più intima confidenza. E
proprio in quella circostanza compose e lesse il suo carme più famoso,
la "Marcia di Leonida", che, come scrive Galante Garrone
"per tanti anni fu recitata, nei grandi teatri e sui palcoscenici di
provincia, da attori celebri o dilettanti, e fu mandata a memoria da intere
generazioni." (55) Racconta dell'ombra dell'eroe greco che, vagando da un
campo di battaglia ad un altro, Maratona, le Arginuse, Isso, Gerusalemme, le
Piramidi, Zama, Munda, Aix, Legnano, finalmente giunge a Mentana e decide di
dormire con quei morti. "Le notti, allora che torna piena la luna in
cielo/ e 'ode per le téssale gole il vento mugghiar,/spalancasi una tomba sul
culmine di Antelo,/e in vetta, in armi chiuso, ritto un guerrier appar."
(56) Dati l'eco del carme e il valore simbolico di Leonida, il monumento a
Milano in onore di Cavallotti, opera dello scultore Ernesto Bazzaro, fu
incentrato sulla "gladiatoria figura di Leonida che finalmente posa,
dominatrice, dopo il lungo peregrinare" (57).
Il 2 giugno 1882 morì Garibaldi e vi fu un'ondata di commozione
e di celebrazioni dalla Camera al Campidoglio a Parigi. I radicali e Cavallotti
furono in primo piano nel doveroso
impegno della memoria e della gratitudine verso il loro grande Generale.
Nell'inviare un telegramma per le celebrazioni a Firenze due anni dopo
così scriveva "ricordino egli moriva sognando un'altra Italia.
Date caratteri, coscienze per farla, spazzate Italia dei bimbi viziosi e dei
vecchi cinici con entusiasmo di giovani, con opere di uomini."(58).
Due anni dopo scrisse la seguente epigrafe per un monumento a Garibaldi che
cittadini e amministrazione comunale di Loreto avevano deciso di erigere "Loreto
- nota ai due mondi- per i miracoli della superstizione - qui con affetto - con
orgoglio italiano - scrive il tuo nome - o Garibaldi - o liberatore - che
terribile e buono - ai due mondi portavi - i miracoli - dell'amore armato -
aprile 1884." Questo testo suscitò una reazione furibonda degli
ambienti clericali, trapassando da fatto locale a vicenda nazionale, con
l'intervento del governo sul prefetto perché fosse proibita. Cavallotti
argutamente commentava in Parlamento che ormai la libertà in Italia
camminava tra due angeli custodi, il prete e il carabiniere, che aveva scritto
l'epigrafe, interpretando un sentimento diffuso nella cittadinanza, che il
governo intendeva farsi interprete arbitrariamente della coscienza della gente,
presumendo più di essa, assumendo lo strano ufficio di "curatore
delle anime" e che, sulla vicenda del miracolo di Loreto, anche uomini
religiosissimi, al limite del bigottismo, come il padre di Leopardi, il conte
Monaldo, avevano espresso critiche molto più forti della sua innocente
epigrafe. Cavallotti incarnò sempre più negli anni quell'Italia
garibaldina, custode dei valori più democratici del Risorgimento, e in
contestazione politica e morale col presente meschino e trasformista.
Date le vicine elezioni, le prime che tenevano con le nuove riforme,
Cavallotti fece una campagna elettorale intensa. Così lo troviamo ad es.
a Bologna insieme a Carducci, su iniziativa dell'Unione Democratica Romagnola.
Il governo, timoroso dell'avanzata radicale, usò in modo
sistematico e spregiudicato contro di essa la stampa prezzolata, i prefetti. Ma
i radicali ebbero comunque successo, passando da venticinque deputati a quaranta e si ebbero i primi eletti
socialisti, come Andrea Costa. Paradossalmente Cavallotti non fu eletto, pur
avendo riportato migliaia di volti, nei cinque collegi nei quali si era
presentato.
Fu eletto l'anno dopo a Piacenza, ritornando a combattere in Parlamento
a viso aperto Depretis e il suo stile di governo trasformista. Contestava
anzitutto la confusione delle parole, prodotta dal chiamarsi di sinistra e
agire nei fatti come uomo di destra ."Nulla è più
pericoloso della confusione di parole, che ingenera la confusione dei
principii, che ingenera lo smarrimento dei caratteri e dei profili dell'anima
nazionale."(59). Già qualche anno prima aveva affermato
efficacemente "il popolo, il quale non comprende che le idee semplici,
chiare, a grandi linee, quando se le vede scambiate in mano, quando sente le stesse parole
pronunziate da uomini d' opposte convinzioni, finisce a non credere più
in nulla e in nessuno e s'infiltra in lui lo scetticismo, questa malaria dei
popoli liberi, questa peste dei popoli giovani."(60).
Specialmente dopo la morte di Bertani nel 1886, emerse di più la
sua figura di capo incontrastato dell'Estrema Sinistra. Ma dovette subire,
oltre l'ostilità dei repubblicani intransigenti, anche l'attacco del
Partito Operaio Italiano, sorto nel 1882, su base rigidamente classiste, il
'partito delle mani callose', diffidente e critico della democrazia borghese e
dei suoi esponenti. Essi costituirono già con il loro apparire un
elemento di divisione e di concorrenza nell'ambiente progressista, erodendo il
consenso radicale, proprio quando esso era impegnato in prima linea con un
programma politico avanzato, che non escludeva temi sociali. Crebbe il sospetto
che quell'iniziativa fosse appoggiata dal governo proprio per combattere il
crescente consenso democratico radicale, notando ad es., alla vigilia delle
elezioni del 1886, la strana libertà d'azione lasciata ad essa dal
governo al nord, e specialmente in Lombardia. Gli operaisti, nella loro aspra
polemica antiradicale, giunsero a parlare di "democrazia vile",
suscitando il giusto furore di Cavallotti, che reagì, parlando
più chiaramente dei sospetti filogovernativi. Lo spirito settario
operaista e classista (che si ripresenterà spesse volte tragicamente
nella storia della sinistra italiana) aveva queste espressioni del comitato
centrale "(Cavallotti) essere abbietto…In quanto alla forma violenta con
cui tempestiamo quei farabutti della democrazia vile essi non meritano
altro linguaggio…E' certo deplorevole la divisione profonda che va facendosi
fra noi operai, i socialisti e gli anarchici e la democrazia borghese, è
deplorevole ma è necessario. E' necessario
perché in fondo i democratici odiano i socialisti."(61) Il che non era
assolutamente vero, anzi profondamente ingiusto, conoscendo lo svolgersi
storico della democrazia risorgimentale e la profonda, modernissima linea di
Cavallotti che andava invece verso un dialogo costante, un accordo
operativo tra tutte le forze della
'Estrema Sinistra’.
Uomini come Lazzari, lo stesso Costa vollero interpretare la vicenda
come sintomo di un fatto per loro importante (divenuto tragico, come si
è detto, nella storia lunga della sinistra italiana d'Italia con
l'affermarsi dell' ideologia classista) "il distacco della classe operaia
giunta a maturità, giunta alla coscienza della sua esistenza di classe,
dalla democrazia borghese, per quanto radicale, e la costituzione della classe
operaia in partito politico distinto da qualunque altro con proprio programma,
con bandiere, con uomini propri." (p.491) In quell'occasione Turati,
scosso dalla polemica, trapassò dalle simpatie radicali a quelle
socialiste, anche se tutta la sua vita è leggibile come un tentativo
disperato di non cadere vittima di quella nefasta ideologia classista e di non
perdere i contatti con le forze liberali e democratiche di sinistra; non a caso
fino alla morte mantenne stretti con
Cavallotti e disse le parole più alte e commosse ai suoi funerali (come
si riferirà dopo).
Essendo entrata in crisi l'iniziativa della 'Lega della Democrazia',
paradossalmente alla luce anche del successo delle elezioni del 1882, che
avevano portato in parlamento forze
politiche dell'Estrema Sinistra più variegate, fu proposto, specialmente
da Cavallotti e dagli uomini a lui più vicini (es. Ettore Socci), a
Bologna, nell'agosto del 1883, il "Fascio della Democrazia" (il
termine "fascio" non era allora contaminato dal tragico uso che
nel Novecento ne faranno Mussolini e le
forze totalitarie, ed era utilizzato spessissimo dagli ambienti repubblicani e
democratici nelle denominazioni e nell'iconografia, legandosi ad una tradizione
che partiva dalla rivoluzione francese e dalle Repubbliche italiane di fine
Settecento, dalla Cisalpina alla Ligure, alla Romana, alla Napoletana).
Il comitato centrale fu formato da Bovio, Cavallotti, Costa,
cioè da un repubblicano, da un democratico radicale, da un socialista.
Esso indicava l'ideale di Cavallotti e degli ambienti più aperti delle
tradizioni della Sinistra estrema "un'unione democratica che annodi gli
animi senza assoggettarli ad assoluta autorità di dogmi o di
capi."( 63). Molti spingevamo perché Cavallotti divenisse il leader
forte di questa federazione. Ma l'iniziativa fu indebolita dagli intralci,
dalla segreta opposizione degli ambienti repubblicani più rigidi e dal
pregiudizio antiborghese presente negli ambienti operaisti e socialisti, che
esploderanno, come si è già visto, alcuni anni dopo.
Quando scoppiò il colera a Napoli nel 1884, onde non far
emergere una solidarietà di parte, solo monarchica o clericale,
Cavallotti organizzò e guidò una squadra di soccorso. Diceva
"Il dolore di Napoli è dolore italiano" (64). Nelle
corsie degli ospedali, nei bassi, nei canili abitati da creature umane,
portò il conforto, il sollievo, con umanissima, nobile abnegazione. Gli
scriveva Carlo Gambuzzi da Napoli, subito dopo la partenza dei volontari
"Caro Cavallotti, quanto bene che ci hai fatto ! Fra l'esattore e il prete
il popolino ha veduto coi suoi occhi che ci sono i soldati della
libertà," (65). Anche il socialista Costa e l'internazionalista
Malatesta furono a Napoli a testimoniare la laica, operosa solidarietà.
L'anno dopo Cavallotti accorse coi suoi volontari anche a Palermo,
colpita dalla stessa epidemia.
Nel 1885 nacque a Genova il figlio Giuseppe (dal nome del fratello
morto a Digione), avuto dalla libera unione con la bella attrice Assunta
Mezzanotte, Già aveva una figlia, Maria, nata da una precedente
relazione con l'attrice ungherese Maria Feller. Amò teneramente e
curò, con caldo sentimento paterno, i due figli nati fuori del
matrimonio ( ma entrambi riconosciuti). Cavallotti era un amante, non un
libertino. Come dice Galante Garrone "sentiva come pochi le ragioni, le
responsabilità, i solidi affetti della famiglia, legittima o naturale
che fosse: un sentimento che si rifletteva… perfino nelle sue opere
teatrali."(66). Sulla linea degli Scapigliati, era noncurante del vincolo
formale o della consacrazione dello stato civile.
Cavallotti continuava intanto le sue battaglie in parlamento su temi
che potevano sembrare più ristretti, ma che erano significativi, come
quello relativo alla condizione economica e giuridica dei maestri elementari, e
su problemi più grandi come l'espansione coloniale, contro la quale ebbe
parole di fuoco" le spedizioni dissennate, sterili come le sabbie che
vanno a conquistare" e si augurava che esse si concludessero presto,
affinchè "possiamo liberarci dell'incubo di quest'Africa
maledetta e dei predoni suoi, per pensare all'altra Africa che abbiamo qui in
casa ed ai predoni che vivono fra noi."(67)
Avversò aspramente il trasformismo di Depretis, pur avendo
avuto e mantenuto con lui sinceri
rapporti cordiali, nel rispetto della giovinezza risorgimentale antiaustriaca e
lo spirito arguto che aveva vicino al suo. Diceva Cavallotti "il
trasformismo è decadimento…sfacelo morale…il parlamentarismo trasformato
in scuola di particolarismo gretto, di egoismi, di scoraggianti incoerenze, di
più scoraggianti audacie, di piccoli intrighi, di piccole astuzie, di
una politica piccina, in una manipolazione faticosa di caratteri e di
coscienze, in una senile abilità del comporre giorno per giorno le
maggioranze".(68)
Come si è detto, sia nei confronti di Cairoli che di Depretis vi
furono voti favorevoli dell’Estrema, che così incisivamente venivano
argomentati da Cavallotti "Non ci fu mai, che io rammenti, una
questione in cui la Estrema abbia negato il suo concorso tutte le volte che si
trattò di realizzare qualche progresso immediato, condurre in porto
qualche importante riforma, appoggiare un atto di giustizia, tutelare qualche
libertà"(69). Cavallotti non escludeva la prospettiva di un
governo dell’Estrema, in coalizione con altre forze, ma solo a certe
condizioni, mai di sottomissione o di abdicazione dei propri fondamentali
principi” io non escludo che la Estrema rivendichi un giorno la parte che
può competerle al governo del paese. Ma questa possibilità
non può venirle che dal prestigio e dalle simpatie che ella saprà
guadagnarsi, non colle abdicazioni, il giorno forse non lontano che la sua
coerenza, i suoi progressi nel campo elettorale, la sua influenza morale in
paese e le condizioni della Camera, gli errori del governo, il malcontento
popolare, i sacrifici imposti da una cattiva politica, la crisi economica, la
pazienza stanca dei migliori fra gli elementi popolari le diano un tal
contingente che abbia peso decisivo nella bilancia dei voti e senza del quale
nessun governo sia possibile. Quel giorno sarà il caso di discutere
delle ’condizioni’, fino a quel giorno non possono darsi che ’sottomissioni’ e
la Estrema Sinistra non si sottomette.”(70) Trattandosi di un punto
importante della strategia politica di Cavallotti, si ritorna su di essa con le
parole di Galante Garrone ”Costituirsi come forza autonoma dell’Estrema,
distinta dal grosso della Sinistra, e procedere d’accordo con essa volta a
volta, su singoli problemi, quando si fosse trattato di varare illuminate
riforme, ma senza mai perdere di vista il proprio programma più
avanzato(il programma ’radicale’), pronti a dare battaglia per esso...e intanto
accrescere man mano le proprie forze, alla Camera e nel paese, col fermo
proposito di non entrare nella maggioranza governativa se non quando, per la
propria consistenza, si fosse stati in grado di fissare le condizioni, e
cioè di imprimere alla maggioranza un certo indirizzo, compatibile col
programma radicale. Forza condizionante, dunque, non condizionata: niente sottomissioni’.(71)
Il rapporto duplice con Depretis, cioè di distinzione tra l’uomo
(rispettato) e lo statista (spesso criticato ed osteggiato), fu tenuto da Cavallotti fino allo scontro
sulla’ questione morale’ anche con Crispi (giunto al potere nel 1887), il cui
legame con il garibaldinismo era fortissimo, essendo stato uno dei protagonisti
dell’impresa in Sicilia, il cui spirito laico era deciso e chiaro (data anche
l’appartenenza alla massoneria, alla quale aveva aderito anche Cavallotti,
secondo i recenti studi della Vernizzi), il cui fascino personale era diffuso.
Ma quando cominciarono a affermarsi i primi segni della politica autoritaria,
dittatoriale, bismarckiana, della sua mania di grandezza, delle sue
infatuazioni bellicose, dell’uomo che "sa il patriottismo, ma non sa il
liberalismo"(72), l’apertura radicale iniziale si tramutò in
critica, in opposizione. Non si negò l’appoggio per il progetto del
nuovo codice penale, che portava la firma di Zanardelli, e per la legge
comunale e provinciale, con l’allargamento del suffragio nelle elezioni
amministrative, la limitazione dell’accentramento statale, il maggiore rispetto
delle autonomie locali, con l’elettività dei sindaci nei comuni
maggiori, sempre alla luce di quella strategia duttile e razionale che si
è indicata e che portava a non sacrificare il bene in nome del meglio.
Si condivise "l’atteggiamento virile in faccia al Vaticano"(73),
si fu a fianco nei momenti accesi della battaglia anticlericale "culminata
il 9 giugno 1889, nella erezione del Monumento a Giordano Bruno al Campo dei
Fiori, opera dello scultore radicale e massone Ettore Ferrari, con bella
iscrizione di Giovanni Bovio."(74).
Ma, di fronte a strani capovolgimenti di anticlericali, Cavallotti
sapeva criticare anche chi, a seconda del vento politico e di intenti
opportunistici, trapassava dalle "spavalderie contro i preti...alle
genuflessioni al Vaticano".(75)
Una forte distinzione di posizione tra Crispi e Cavallotti si ebbe nei
confronti della Francia nel clima del centenario della Rivoluzione del 1789.
Crispi era filogermanico, i democratici invece si sentivano figli degli
immortali principi dell’89 ed erano
favorevoli a legami più stretti con la vicina Repubblica. Cavallotti
commemorò il centenario con l’importante discorso tenuto il 5 maggio
1889 a Milano, al teatro Castelli. Sottolineò la grandezza imperitura
dell’evento nella storia dell’umanità, tenendola distinta dagli eccessi
del terrore, rosso o bianco che fosse, e criticando Robespierre "era un
prete. Per educazione, indole, temperamento...dottrinario sempre uomo d’azione
mai"(76). Egli si sentiva vicino ai girondini, repubblicani e sinceri
liberaldemocratici, non settari, dottrinari o sanguinari.
Per dare battaglia a Crispi, occorreva coagulare e rinsaldare le varie
correnti dell’Estrema e i radicali promossero il grande congresso democratico
del 1890, da cui uscì il ‘Patto di Roma’ di cui si è prima
ampiamente fatto cenno. Il programma fu steso soprattutto da Cavallotti,
parteciparono 450 associazioni, soprattutto radicali, ma anche repubblicane,
operaie, socialiste, di libero pensiero, irredentiste (di un irredentismo che
riguardava Trento e Trieste, non il Sud Tirolo), di reduci delle patrie
battaglie.
Un’amicizia importante che si consolidò proprio nel 1890 fu
quella con il grande economista Vilfredo Pareto. Come dice Galante Garrone
"Pareto aveva fornito di dati, consigli, incoraggiamenti il leader
radicale, e ne approvava incondizionatamente l’opposizione al governo Crispi,
al suo triplicismo, alle spese militari, alla gallofobia, a tutta la sua
politica economica e finanziaria."(77)
Alle elezioni del 1890 si ebbero più di cinquanta deputati
radicali, numero mai più raggiunto, ma non sufficiente a dare la svolta
decisiva nel parlamento e nel paese.
Si ebbe una certa apertura verso il nuovo governo Di Rudinì,
distante per diversi aspetti nel programma da Crispi e vicina a qualche indicazione programmatica
del ‘Patto di Roma’. Ma dopo appena tre mesi, di fronte ai soprusi polizieschi
del 1 maggio 1891, che riprendevano i cattivi metodi crispini,
l’insensibilità verso la questione sociale, l’apertura alla
colonizzazione dell’Etiopia, più che verso la questione meridionale
("l’Africa che abbiamo in casa"), Cavallotti così
affermò "riprendiamo ciascuno la nostra via; noi seguiremo ancora
quella dei nostri ideali...siamo da capo alle spese per gli armamenti, perché i
propositi di pasta frolla del governo sono alle prese colle volontà
della Corte(che voleva il rinnovo della
Triplice con la Germania e l’Austria)"(78)
Qualche compagno deputato, ’legalitario’, ’pratico’, tipo il
salernitano Giampietro, premeva per una presenza al governo, onde spingerlo
verso un più energico riformismo, ma Cavallotti rispondeva "Io
non potrei a 48 anni mutare da quel che sono e da quello che mi hanno fatto tutti
i precedenti della vita - se lo facessi mi ammazzerei moralmente senza nessun
vantaggio per la causa democratica cui avrei voluto con la mia evoluzione
giovare...dovesse la democrazia attendere venti anni, sarà utile che
qualcuno rimanga ad aspettare."(79) Quindi, come sintetizza
efficacemente Galante Garrone "Fedeltà al passato, coerenza, senso
del limite, riforme concrete (secondo il programma tracciato nel Patto di
Roma), senza sterili intransigenze ma anche senza alcun cedimento alle lusinghe
del potere".(80)
Era preso a volte da sconforto e
pessimismo per l’ambiente trasformista, corrotto, la mancanza di
fierezza e di indipendenza all’interno e all’estero "tutto puzza sempre
di porco...noi siamo destinati dal fato delle razze spente a rimanere accodati
a qualche grosso padrone, che ci risparmia la pena di pensare al poi. Servitori
prima dell’impero del terzo Napoleone, ora siamo alla mercè del pazzo
coronato di Berlino, felici di schierare in parata accanto ai suoi ulani i
nostri cavalleggeri."(81)
Commemorò l’irredentista Oberdan, richiamando con fierezza il
suo destino: "pei predestinati del dovere, fin dove e fin quando
è impero di violenti, la vita non è altro che un perenne
terribile no".(82)
Dopo la crisi del governo Di Rudinì, si parlò per un
poco, ancora una volta di Zanardelli, ma lo sbocco fu quello di un affidamento
a Giolitti, verso il quale Cavallotti sentì in una prima fase lontananza
e distacco, legato ai diversi caratteri, alle diverse storie personali.
Giolitti veniva dall’amministrazione, dalla burocrazia, era un ’ragioniere’
della politica, estraneo alle lotte e alle tradizioni risorgimentali,
volutamente non enfatico, non retorico nel linguaggio e legato comunque agli
ambienti di corte. In uno scambio di battute, così emersero i due
caratteri: a Giolitti che affermava " Volevate forse della retorica ?
Allora avete ragione di darci un voto contrario; ma vi faccio notare che la
retorica non ha mai salvato un paese", così Cavallotti rispondeva
" C’è qualcosa di peggio della retorica ed è l’empirismo
degli uomini pratici, che credono di risolvere le questioni coi piccoli
mezzi."(83) Ma la novità del governo Giolitti già nel
1892 era nel programma aperto sul terreno economico - sociale (anche per la
pressione socialista, tradottasi nello stesso anno anche con la fondazione del
Partito Socialista) e quindi in grado di attirare aperture e simpatie nel
fronte dell’Estrema. Così vi furono appoggi (considerate ‘defezioni’
dall’opposto punto di vista cavallottiano) da parte di alcuni deputati radicali.
Cavallotti temeva di essere schiacciato dall’opposizione socialista sempre
più forte e da una politica governativa di progresso sociale e di
apertura liberale.
Alle elezioni di novembre 1892 il gruppo radicale ebbe una trentina di
legalitari e una trentina di intransigenti, con lo stesso Cavallotti che non fu
eletto a Corteolona (anche se poi, per l’annullamento delle elezioni in quel
collegio, Cavallotti fu rieletto nel maggio del 1893). L’amico Sacchi gli
scriveva "credere che il paese sia avanzato è un errore che noi
della democrazia commettiamo sempre. I programmi di Giolitti e di Zanardelli
sono di gran lunga più avanzati del paese"(84). In questa
osservazione c’era anche in potenza quell’atteggiamento prudente, flessibile,
realistico che portò lo stesso Sacchi e i democratici radicali ad
appoggiare Giolitti ed entrare nei suoi
governi nel primo decennio del Novecento, abbandonando le posizioni
più battagliere e avanzate di Cavallotti. Nella lettera di Sacchi c’era
anche un’amara constatazione su alcuni comportamenti di Bovio e Turati
"Bovio abbandonò ora d’un tratto la democrazia politica e
sventolando la bandiera della ’lotta di classe’ si fece applaudire da Turati,
che ieri lo chiamava parolaio." (85).
Cavallotti cercò di evitare la dispersione politica con la
lettera Alli amici dell’Estrema
Sinistra (Legalitari e non legalitari) del 1 dicembre 1892, richiamando la
linea praticata, sempre concreta, mai pregiudiziale, ma anche autonoma e di
fedeltà al programma del ‘Patto di Roma’, linea che aveva prodotto nel
tempo un crescente consenso parlamentare e che non andava pertanto abbandonata.
Dati i metodi di Giolitti, come di passati governi, di usare ogni
strumento spregiudicato per il suo consenso, dai prefetti ai giornalisti
prezzolati (in particolare il malfamato ed equivoco direttore del ‘Popolo
Romano’, Costanzo Chauvet), scoppiato lo scandalo della Banca Romana,
Cavallotti ebbe tanti argomenti per sollevare la ‘questione morale’ contro il governo, cercando così anche di
rinsaldare i due tronconi radicali degli ’intransigenti’ e dei ‘legalitari’ e
richiamò nel discorso di Belgioioso del 19 novembre 1892 il senso alto e
nobile del termine, del valore, dei richiami storici, implicito in’ democrazia’
"Quando io parlo di democrazia, ossia del grande partito popolare che
ebbe da Mazzini l’idea, da Garibaldi il metodo e dalla coscienza insorgente
delle classi diseredate il sentimento dei bisogni nuovi, non mi occupo e non
parlo della combriccola che ha trovato comodo aggrapparsi a quel nome per
ammantare puerili ambizioni o per nascondere pudicamente connubi." (86)
Il governo Giolitti cadde e la Corte, anche timorosa di un peso
radicale forte, quale poteva essere implicito in un gabinetto Zanardelli,
ridiede l’incarico a Crispi.
La popolarità di Cavallotti era cresciuta in tutto il paese, in
tanti ambienti: da De Amicis a Francesco De Sanctis al citato Pareto, ad
Amilcare Cipriani, allo stesso Quintino Sella (pur militando in campo politico
lontano) a tanti, spesso umili corrispondenti, che gli inviavano lettere di
plauso e di gratitudine. Scriveva l’abate lodigiano, vecchio democratico, Luigi
Anelli "onoro in Felice Cavallotti
l’uomo che, in mezzo a uomini servi di cuore, neppur liberi di lingua, scandalo
non forza della nazione, mantiene l’onore d’Italia."(87) Si giungeva quasi
a forme di culto, come il vecchio garibaldino messinese Raffaele Villari
"La tua fotografia di artista e soldato siede nel mio studio e favella in
un linguaggio da me solo inteso." (88) Come osserva efficacemente Galante
Garrone "Erano tutte voci di un'Italia umile, onesta, che è pure
esistita, e in Cavallotti aveva riconosciuto uno dei suoi interpreti più
fedeli e appassionati. Potremmo anche dirla un'Italia garibaldina, democratica,
laica…essa ebbe un'ampiezza e una vitalità superiori a quel che
comunemente si pensa."(89)
Di fronte al ritorno di Crispi, Cavallotti ebbe un iniziale posizione
prudente, quasi distesa. Il vecchio garibaldino chiese una 'tregua di Dio' ai
suoi oppositori in nome della patria e delle sue gravi condizioni, dicendo
"Il patriottismo non è monopolio di nessun partito. Perciò
ci rivolgiamo a tutti." Ma quando nel gennaio 1894 la situazione
dell'ordine pubblico in Sicilia si aggravò (legata ai gravi problemi
sociali) e Crispi ricorse a misure esteme con lo scioglimento dei 'Fasci siciliani', lo stato d'assedio, le
repressioni sanguinose, gli arresti arbitrari (tra cui il deputato Giuseppe De
Felice Giuffrida e la figlia), Cavallotti insorse verso chi intendeva mettere
fuori legge "una infelicissima parte della nazione a cui invece del
pane si dà risposta di piombo"(90), lanciando una
sottoscrizione, come segno di solidarietà mandato al popolo lavoratore
siciliano "dai lavoratori d'Italia e da quella stessa borghesia
lavoratrice, sul cui capo tanti inconsulti anatemi si invocano, quella
borghesia che del lavoro conosce i sacrifici, gli stenti, i doveri e le
idealità, e non ha nulla di comune cogli sfruttatori plaudenti allo
stato d'assedio."(91).
Si trattava di posizioni ferme, decise, politicamente intelligenti, che
invece venivano deformate, alla luce del tragicamente astratto classismo
socialista, da Antonio Labriola
"questi legalitari più o meno radicalucci", dallo stesso primo
Turati, che parlava di "beotismo radicale bamboleggiante".(92)
Incurante di queste ingiuste critiche socialiste, Cavallotti alla
Camera il 3 marzo 1894 insorse "contro una politica, come quella crispina,
socialmente iniqua, tutta a beneficio dei proprietari e a spese dei poveri; e
avrebbe ricordato le "lande squallenti della Sardegna, percorse
avvelenate dalla malaria", le "solfatare della Sicilia, dove
le creature umane si sottraggono alla sole soltanto per maledirlo", le
"creature che maledicono la vita lungo i solchi della valle del Po"
"(93). Non erano posizioni retoriche, ma impegni di lotta che erano
insieme democratici e socialisti di fatto, di sostanza (come colse bene il suo
primo biografo, Paolo Bardazzi, il cui volume uscì proprio nell'anno
della sua morte, nel 1898).
A giugno Crispi si dimise, avendo una maggioranza risicata, tutti si
aspettavano una svolta, ma la Corte appoggiò solo un rimpasto, con un
governo più a destra del precedente. Crispi subì un attentato e
vennero varate le leggi antinarchiche, che furono estese nell'autunno
anche alle associazioni e i circoli
socialisti. Nella situazione estrema, scattò finalmente un'apertura di
solidarietà dei socialisti e dei repubblicani verso i radicali e
Cavalotti, i quali subito promossero nell'ottobre 1894 la ‘Lega italiana per
la difesa della liberta'. Turati e Prampolini dovettero riconoscere la
nobiltà, la dignità, la sincerità, la
preziosità dell' impegno
democratico - radicale.
A dicembre, scoppiò lo scandalo che vedeva Crispi coinvolto
nella vicenda della Banca romana più di Giolitti e implicato in compensi
per onorificenze date ad una equivoca figura straniera. L'indignazione
dilagò dal parlamento al paese, già scosso dai soprusi
autoritari, dalle repressioni politiche e sociali, dal duro comportamento di Crispi.
Cavallotti fu l'uomo di punta di questa battaglia sulla "questione
morale", che per lui era fondamentale nella vita profonda di un paese
"un popolo che transige con l'onore non vive" (94). Quella
battaglia scosse l'opinione pubblica, destò energie sopite,
rinsaldò intorno a Cavallotti il gruppo radicale, anche se non si
riusciva a costruire una solida struttura organizzativa di partito (limite
costante della tradizione democratica), come giustamente osservava l'amico
Romussi (curatore in vita dei suoi 'discorsi')" mentre i socialisti sono
organizzati in partito, i democratici sono dispersi, disuniti, viventi in
eccessiva indipendenza, che talora si traduce in disaccordi, in avversioni, in
ribellioni".(95)
Cavallotti scrisse la lunghissima 'Lettera agli onesti di tutti i
partiti', che riepilogava i passaggi della battaglia contro Crispi e
indicava la linea per portare la questione morale alla sua risoluzione, e non
far cadere il tutto nella dimenticanza" come si dimentica presto in
Italia! …oblìo che è, in Italia specialmente, il grande aiutatore
dei disonesti scoperti", che ebbe un'eco in tutti gli ambienti(96). Si
giunse ad una mozione alla Camera, che raccolse 115 voti, ma fu respinta.
Cavallotti continuò su posizioni di intransigenza la battaglia
fino alla fine del governo Crispi, riunendo i suoi interventi in un libro del
1896 "Per la storia. La questione morale su Francesco Crispi".
Il governo Crispi cadde poi sulla politica coloniale, con la sconfitta
di Adua del marzo 1896.
Di fronte al nuovo governo Di Rudinì, almeno non coinvolto nella
'questione morale', il gruppo radicale votò la fiducia, anche perché era
timoroso di un ritorno a climi autoritari
e repressivi, come quello crispino. Contro Bovio che lo criticava per
questo voto, così efficacemente e responsabilmente rispondeva Cavallotti
"Per me, quando ho visto oscurarsi la giustizia, la legge, la
libertà, la morale…ho detto: è tempo di essere conservatori,
di conservare e salvare tutto ciò che di più sacro ci hanno
lasciato i nostri maggiori, e per cui vale la pena di avere una patria."(97)
Intrattenne amichevoli rapporti anche con il grande deputato e studioso
sicliano Napoleone Colajanni, auspicando insieme ad es. il decentramento
regionale, polemizzando anche contro l'unitarismo duro dei repubblicani. Con
toni cattaniani così rispondeva a questi ultimi" Voi volete una
unità d'Italia sul modello francese, un modello che ha dato alla Francia
il Terrore, il 18 Brumaio e il 2 Dicembre: noi vogliamo una unità
d'Italia di modello nazionale, una unità italiana…abbastanza ci parlaste
di una patria una; ora parliamo un poco di una patria libera".(98)
Nel novembre 1896 viaggiò in Sardegna e Sicilia, accolto
calorosamente.
Tra la fine del 1896 e gli inizi del 1897, appoggio con vigore
l'insurrezione dei greci di Creta contro la dominazione turca. Molti volontari,
con spirito garibaldino, partirono a favore degli oppressi insorti e alcuni di
loro pagarono con la vita il generoso impulso di fratellanza risorgimentale.
Anche Cavallotti aveva espresso il proposito di partire per la Grecia, come
aveva fatto il fratello Peppino per la Francia, ma ne fu impedito dagli
importanti impegni politico - parlamentari.
Avvicinandosi le elezioni del 1797, rivendicò ancora una volta,
in una lunga e bella lettera a Colajanni del 21 gennaio, il senso, il metodo, i
contenuti di sempre della sua lotta politica "Per me che studio i
fenomeni dell'aria italiana, e che vedo nella impunità trionfante la
prima cagione di tanti guai del paese e la minaccia di tanti altri futuri, la
campagna che ho combattuto finora non è finita, anzi non è giunta
che a mezzo; e uno dei primi atti del proseguimento, anzi il primissimo -
indispensabile al risanamento della vita italiana - era per me l'appello al
paese. Perché io, caro Colajanni, le accademie le ho sempre detestate: e ho
avuto sempre per regola di fare una battaglia alla volta, e di far gioco
serrato, lotta serrata, pigliando l'avversario corpo a corpo, e non
lasciandolo che…in terra, proprio quello che gli accademici, nelle loro lotte
sublimi, ma inoffensive attraverso le nuvole, non amano. E bada che se tu poni
mente all'opera mia da vari anni vedrai che non è che uno sforzo
continuo febbrile per veder di scuotere la fibra del paese e per rialzarne le
energie nei soli modi che credo possibili, perchè da un popolo
che non si è rivoltato neppure dopo Abbagarina(Adua) è ridicolo
sperare che si rialzi da sé col metodo rivoluzionario…la popolarità
può essere una forza utile, ma bisogna anche avere il coraggio…di
infischiarsene…obiettivi netti…questione morale, giustizia eguale
per tutti i ladri alti e bassi, per tutti i delinquenti alti e bassi;
abbandono dell'Africa; rinnovamento dei rapporti e trattati colla Francia;
economie e sgravi tributari; risurrezione economica del paese, provvedimenti
seri per la Sardegna, la Sicilia, la Puglia e le altre regioni; giustizie
sociali, difesa delle libertà pubbliche, il diritto
d'associazione compreso, e tutto il resto."(99)
Alle elezioni del marzo 1897 il gruppo dell'Estrema Sinistra
aumentò di consensi, con circa ottanta deputati, ma inferiori al
traguardo che avrebbe potuto portare Cavallotti a dare una svolta decisiva alla
politica italiana e poi, con sua amarezza, si costituì un autonomo
gruppo repubblicano, frutto di candidature distinte e opposte a quelle radicali, con ulteriori
divisioni, e con un programma che era generico e arretrato nei confronti della
vibrante, moderna concretezza del Patto di Roma. I repubblicani avevano diviso
forze che avevano tanta strada da fare insieme.
Cavallotti si mise di nuovo al lavoro. A differenza dell'altra volta,
non diede la fiducia al nuovo governo Di Rudinì. Riannodò il filo
dei rapporti con Zanardelli (il più autorevole e illuminato esponente
della Sinistra lombarda, dopo la scomparsa di Cairoli), si ebbero diversi
contatti anche con lo stesso Giolitti, per le comuni posizioni anticrispine,
l'avversione alle tendenze conservatrici e sempre più tendenzialmente
reazionarie del ministero.
Così Giolitti ricorda Cavallotti" Per questi nostri
contatti ebbi allora campo di conoscere bene il Cavallotti. Egli era uomo di
molto e vivo ingegno; impetuoso di carattere, ma sinceramente interessato al
bene del paese. Le mie relazioni con lui furono varie. Quando ero stato alla
Presidenza del Consiglio, egli mi aveva combattuto; ma più tardi ci
trovammo in pieno accordo nel combattere la reazione di Crispi, come pure nel
combattere il Di Rudinì, quando prese un atteggiamento troppo
conservatore, che lo portò alla proclamazione degli stati d'assedio. Non
ho avuto mai a lagnarmi di lui, anche quando mi ha combattuto; anche quando
aggrediva violentemente e alle volte passava i limiti era animato da passione
politica e la sua condotta non era mai obliqua o sleale. Se fosse vissuto
sarebbe certo pervenuto al governo."(100)
In questo nuovo clima, strinse amicizia politica col deputato
giolittiano Galimberti, già compagno di studio nella Biblioteca della
Camera.
Si pensava che i due gruppi della Sinistra - zanardelliani e
giolittiani- insieme al gruppo radicale potessero costringere Di Rudinì
a venire a patti. Ma l'iniziativa non ebbe seguito per l'ingresso del solo
Zanardelli nel rimpasto di governo, con delusione di Cavallotti, che, di fronte
alle buone intenzioni di lui, così rispondeva nella lettera dell'11
dicembre 1798 " la volontà degli uomini deve fare i conti colle cose;
e dove queste siano le più forti, quella indarno si logora e si
consuma…e come potrai tu importi, colla sola incontrastata
autorità del tuo nome, se non vi aggiungi anche il peso del numero
?"(101) e che i programmi di Zanardelli "senza una maggioranza
democratica sono utopie"(102). Egli guardò con attenzione ad
una nuova prospettiva politica che avesse Giolitti come importante
interlocutore, evento che si verificherà sul piano parlamentare agli
inizi del secolo e che Turati, oltre il partito democratico radicale, ben
capirono, muovendosi in un certo senso nel solco intuito da Cavallotti. Ma la
linea cavallottiana era tuttavia sempre quella, più volte sottolineata,
che il partito democratico radicale e l'Estrema dovessero entrare a far parte
della maggioranza ed entrare anche nel governo, ma solo da una posizione di
forza, come elemento determinante della situazione politica, condizionante, mai
sottomessa, e quindi inefficace.
Nel bilancio delle battaglie portate avanti da Cavallotti nel corso
della sua vita politica, alcune furono vinte, altre perdute, ma, come afferma
efficacemente Galante Garrone "l'aver tenuta viva questa risorgente
esigenza di riforme politiche, sociali, morali, e risvegliato nel paese energie
e volontà tese a questo scopo, è un merito che, anche nel
più freddo dei bilanci, non può non essergli riconosciuto. Qui
è anche il segreto della immensa sua popolarità, che a lungo
sopravvisse nella stria d'Italia. Egli fu, e a lungo rimase, agli occhi di
molti, il campione di un'Italia pulita, civile, più moderna, più
seria. E non fosse che per questo, gli possono essere perdonate tante
intemperanze passionali e concitazioni retoriche e focose ingiustizie."
(103)
La vertenza con il conte Ferruccio Macola, giornalista e deputato
veneto (nato a Camposampiero, Padova nel 1861) concluse tragicamente la sua
vita a cinquantasei anni . Lo sfidante
aveva vent'anni meno di lui, alto di statura, con fama di esperto spadaccino,
orgoglioso e freddo.
Dopo una giovanile ammirazione per Cavallotti, divenuto direttore della
"Gazzetta di Venezia", organo dei moderati, si legò agli
ambienti più conservatori del Veneto(diventando il loro rappresentante
parlamentare). Incominciò a punzecchiare ingiustamente Cavallotti
già al tempo di Crispi, attribuendogli una natura autoritaria non
dissimile dal primo ministro, una posizione restrittiva sul tema
dell'allargamento del suffragio,
parzialità di comportamento in quanto esponente di rilievo dell'Associazione
della Stampa; informò in maniera deformata sui rapporti tra Cavallotti e
Giolitti. Si giunse alla falsità di attribuire a Cavallotti una
pressione sulla Giunta parlamentare, incaricata di affrontare l'autorizzazione
a procedere per una querela contro lo stesso Cavallotti, per diffamazione e
ingiuria, fatta dal giornalista Morello, quando era stata la Giunta a chiedere
autonomamente e liberamente l'audizione di Cavallotti. Egli, ormai esasperato,
parlò di "mentitori di mestiere", a proposito dei giornalisti
della " Gazzetta". Macola mandò i padrini a Cavallotti. Nel
pomeriggio del 6 marzo 1898, partendo con l'amico Bizzoni (che fungeva da
padrino), dall'alloggio romano di piazza Rondanini (dove è posta una
bella lapide del 1904 dell'Unione Democratica Romana), affrontò calmo e serio
il suo ultimo duello nel giardino della villa della contessa Cellere, fuori
Porta Maggiore.
Come prima di ogni scontro, aveva lasciato il testamento delle cose
più importanti da fare in caso di morte: la sollecitudine verso il
figlio Peppino, il destino delle sue carte (ma, in modo accorto e quasi
presago, aveva agevolato la pubblicazione completa delle sue opere), la sua
sepoltura a Dagnente.
Bisogna dire che Cavallotti nei suoi precedenti 32 duelli non aveva mai
colpito a morte nessuno.
L'uccisore ebbe la vita distrutta dalla vicenda. Quando rientrò
alla Camera, sentì il gelo intorno a sé. Molti deputati uscirono in
silenzio dall'aula, nessuno gli si avvicinò.
Morì a Merate, Como nel 1910 a 49 anni, isolato.
La morte di Cavallotti suscitò un'ondata di
commozione popolare, quale mai si era avuta in Italia, se non con le scomparse
di Mazzini e di Garibaldi, di cui Cavallotti aveva incarnato l'anima.
Dice uno dei biografi, Ferrario" I cantastorie della valle del Po
raccontarono per molti anni di quel duello e concorsero a diffondere la
credenza popolare che l'avversario di Cavallotti fosse in realtà uno
spadaccino, prezzolato per togliere di mezzo l'uomo che più di ogni
altro si era battuto contro l'autoritarismo, per la libertà di
tutti."(104)
Gli ambienti di Corte, specialmente Margherita, si sentirono sollevati
come da un incubo, avendolo sempre visto come il simbolo dell'eversione
politica e sociale.
La Camera abbrunò per otto giorni il vessillo di Montecitorio e
si farà promotrice in età giolittiana della pubblicazione dei
suoi discorsi parlamentari, editi in due volumi nel 1914.
Un largo movimento d'opinione e proposte parlamentari dell'Estrema
finirono per mettere in crisi irreversibile la superata istituzione del duello.
Fu commemorato nelle aule universitarie: da Giovanni Bovio a Napoli, da
Carducci a Bologna.
Il commiato più significativo, più carico di futuro, fu
quello dei socialisti, in particolar modo di Turati al Cimitero Monumentale di
Milano il 9 marzo, dopo i discorsi belli e commossi di Romussi, De Andreis,
Colajanni" egli era la protesta nostra, egli era il loro
rimorso; doveva essere spento… qui non ad un uomo diciamo addio, ma ad una
generazione di uomini, a quanto fu in essa di bello, di alto, di fiero…Ma le
schiere, per le quali io parlo, sono testimoni alla storia, che la fiaccola che
tu deponi, o poeta, non si è spenta con te; e sarà raccolta e
tramandata ai venturi. Esse, che già più volte han pugnato al tuo
fianco - che sentivano te - che tu sentivi - che, malgrado le fuggevoli ire del
dì di tempesta, ti ammiravano, sciolto da pastoie di formule,
prorompente incontro all'avvenire, immemore di te, con quella foga medesima con
la quale balzavi contro il ferro avversario nelle singolari tenzoni - esse,
reclinando oggi sulla tua bara la loro rossa bandiera, del colore che tu pure
amavi, sanno che l'ombra sua non ti sarà molesta. Sanno che, allorquando
la rocca dell'iniquità, a cui tu vibrasti da dentro così poderoso
il piccone mentr'esse l'accerchiavano da fuori, cadrà smantellata -
esulteranno le tue ossa, o poeta, o soldato ! …Suvvia, compagni: ripigliamo il
lavoro !"(105)
La sua idea dell'Italia è ancora oggi, alla fine del secondo
millennio, un monito ed una direzione per gli uomini liberi e democratici
" Io da parecchi anni ammalato di una infermità che i medici
chiamano il morbo dell'ideale, con in testa la fissazione caparbia di un'Italia
quale sognava il mio generale(Garibaldi) che dorme laggiù in mezzo al
mare, governata con metodi onesti, senza illegittime ingerenze di furfanti, di
un Governo 'rigidamente' onesto, sinceramente democratico, che faccia servire
le istituzioni al paese e non il paese alle istituzioni, di un'Italia ove la
legge sia uguale per tutti, le pubbliche libertà siano per tutti
rispettate, ove le urne dei suffragi non siano gioco frodolento di prefetti che
il carcere reclama, ove la giustizia sia per tutti una sola, non renda urtante
la giustizia stessa, quand'offre accademia di severità sui minori;
un'Italia ove l'animo dei governanti si levi dagli scandali del dì e
dallo studio affannoso di lavarli e continuarli sotto forme nuove, a un
più alto e coscienzioso pensiero dei mali... che travagliano la nazione,
e degli errori politici che ve la piombarono" (da una lettera del
settembre 1893).(106) E più essenzialmente, nel discorso parlamentare
del 20 giugno 1897, così indicava il suo ideale "il sogno di un
Governo che risani le piaghe vive, sanguinanti, del mio paese, renda men dura
la vita a milioni de’ suoi figli, lo avvii a prosperità materiale e grandezza
morale, camminando sempre nelle vie della giustizia e della liberta’."
(107)
Ottobre - Novembre 1998
Nicola Terracciano
NOTE
Per gli inquadramenti della figura di Cavallotti nella storia del suo
tempo si rimanda fondamentalmente alle opere generali di Croce, Volpe,
Mack-Smith, Seton-Watson, Scirocco, al vol. VI della ‘Storia dell’Italia
moderna (1878-1896)’ di G.Candeloro, Milano, 1970 e al saggio di L.Valiani, L’Italia
dal 1876 al 1915. La lotta sociale e l’avvento della democrazia, in AA.VV.
Storia d’Italia, a cura di Nino Valeri, IV vol. UTET, Torino, 1965.
1) A.Galante Garrone, Felice Cavallotti, UTET, Torino, 1976, pp.
757, nella collana di biografie 'La vita sociale della nuova Italia' diretta da
Nino Valeri.
La prima citazione si trova a pagina 3.
2) Ibidem, pp.22-23
3) Ibidem, p. 24
4) Ibidem, p.26
5) Ibidem, p.36
6) Ivi
7) Ibidem, p.41
8) Ibidem, p.45
9) Ivi
10) Ibidem, p. 55
11) F. Cavallotti, Lettere 1860 - 1898, introduzione e cura di
Cristina Vernizzi, prefazione di A.Galante Garrone, Feltrinelli, Milano, 1979,
pp. 394.
La citazione è a p.54.
12) A. Galante Garrone, Felice Cavallotti, cit., p.87
13) Ibidem, p. 93
14) Ibidem, p.135
15) Ibidem, p. 141
16) Ibidem, p. 146
17) Ibidem, p. 150
18) Ibidem, p.152
19) Ibidem, p.
20) Ibidem, p.212
21) Ibidem, p.219
22) Ibidem, pp.252-253
23) Ibidem, p.252
24) Ibidem, p.253
25) Ibidem, p.259
26) Ibidem, p.271
27) Ibidem, pp.282- 283
28) Ibidem, p. 310
29) Ibidem, p. 321
30) Ivi
31) Ibidem, p. 323
32) G.Spadolini, I Radicali dell'Ottocento da Garibaldi a Cavallotti,
Le Monnier, Firenze, 1982, p.7.
33) Ibidem, p.16.
34) Ibidem, p.19.
35) Ibidem, pp.30-31.
36) Ibidem, p.89
37) Ibidem, p.VIII
38) G.Spadolini, Radicali vecchi e nuovi, in 'L'Italia della
ragione', Le Monnier, Firenze, 1978, pp.395 - 396
39) G.Spadolini, I Radicali dell'Ottocento da Garibaldi a Cavallotti,
cit., p.XIX . Nella stessa direzione di rivendicazione storica va l'altro
fondamentale volume di A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925),
Garzanti, Milano, 1973, pp.414, il quale sottolinea come l’ininterrotto impegno
radicale trascende i limiti del partito risorgimentale e "s’incarna nei
movimenti e negli uomini più diversi." (p.404), da Amendola a
Salvemini, dal gruppo de ’Il Mondo’ di Cianca e Salvatorelli a ’Il
Caffè’ di Bauer e Parri, al ‘Non mollare’, al gruppo di ‘Rivoluzione
liberale’, a ‘Giustizia e Libertà’, al Partito d’Azione della clandestinità
e della Resistenza, alla Democrazia del Lavoro del 1944- 1946 (con Bonomi e
Ruini), alle correnti eterodosse del partito repubblicano e del partito
socialista, a intellettuali come Omodeo e De Ruggiero.
40) A. Galante Garrone, Felice Cavallotti, cit., p.333
41) Ibidem, p.340
42) Ibidem, p.338
43) Ibidem, pp.346-347
44) Ibidem, p. 347
45) Ibidem, p. 352
46) Ibidem, p.548
47) Ibidem, p.377
48) Ibidem, p.379
49) Ibidem, p. 401
50) G.Spadolini, I Radicali dell'Ottocento da Garibaldi a Cavallotti,
cit.,pp. 49- 50
51) A. Galante Garrone, Felice Cavallotti, cit.,p.409
52) Ibidem, p.413
53) Ivi
54) Ibidem, p.416
55) Ibidem, p.442
56) Ivi
57) Ibidem, p. 443
58) Ibidem, p. 471
59) Ibidem, pp. 470-471
60) Ibidem, p.399
61) Ibidem, p.487
62) Ibidem, p.491
63) Ibidem, p.477
64) Ibidem, p. 518
65) Ibidem, p.519
66) Ibidem, p. 527
67) Ibidem, pp. 498-499
68) G.Spadolini, I Radicali dell'Ottocento da
Garibaldi a Cavallotti, cit., p.71
69) A.Galante Garrone, Felice Cavallotti,
cit p. 534
70) Ibidem, p. 535
71) Ibidem, pp. 535-536
72) Ibidem, p. 343
73) Ibidem, p. 544
74) Ivi
75) Ibidem, p.557
76) Ibidem, p.555
77) Ibidem, p.579
78) Ibidem, pp.586-588
79) Ibidem, p.594
80) Ivi
81) Ibidem, pp.595-596
82) Ibidem, pp.598-599
83) Ibidem, p.606
84) Ibidem, p.612
85) Ibidem, p.611
86) Ibidem, p.616
87) Ibidem, p.627
88) Ibidem, p.631
89) Ibidem, p.632
90) Ibidem, p.635
91) Ibidem, p.636
92) Ibidem, p.637
93) Ivi
94) Ibidem, p.650
95) Ibidem, p.656
96) A.Galante Garrone, L'Italia corrotta - 1895
-1996, Editori Riuniti, Roma,1996, p.31
97) A.Galante Garrone, Felice Cavallotti,
cit.,p.667
98) Ibidem, 674
99) F. Cavallotti, Lettere 1860 - 1898, cit.,pp.351-353
100) A.Galante Garrone, Felice Cavallotti,
cit, p.690
101) F. Cavallotti, Lettere 1860 - 1898, cit.,p.372
102) Ibidem, p.374
103) Ibidem, pp.332-333
104) C.Ferrario, Cavallotti, voce in AA.VV.,
Il movimento operaio italiano, Editori Riuniti, Roma, vol. 1, 1975,
p.556
105) A.Galante Garrone, Felice Cavallotti,
cit.,p.725
106) F. Cavallotti, Lettere 1860 - 1898,cit.,p.310
107) A.Galante Garrone, Felice Cavallotti,
cit., p.687
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Oltre i testi citati:
- P. Bardazzi, Felice Cavallotti nella vita, nella politica e
nell'arte, Milano-Palermo, 1898.
- B. Croce, Felice Cavallotti, in “La letteratura della nuova
Italia”, vol. II, pagg. 167-177, Bari, 1914.
- L’Italia radicale. Carteggi di Felice Cavallotti(1867-1898), a
cura di L.Dalle Nogare e S.Merli, Milano, 1959.
- Democrazia e socialismo. Carteggi di Napoleone Colajanni:
1878-1898, a cura di Salvatore Massimo Ganci, Milano, 1959.
- R. Colapietra, Felice Cavallotti e la democrazia radicale in
Italia, Brescia, 1966.
- G. Orsina, Il partito radicale nell’età giolittiana,
Carocci, Roma, 1998 (unico libro, per quanto consta al curatore, apparso nel
centenario).
* L’unica manifestazione di ricordo di Cavallotti per il centenario
della sua morte si è tenuta nel marzo di quest’anno ad Arona, su
iniziativa del Comitato di Novara dell’Istituto per la Storia del Risorgimento
Italiano.