Nicola Terracciano
VINCENZIO
RUSSO
(Palma Campania, 1770 - Napoli, 1799)
Vincenzio Russo nacque a Palma Campania, in
provincia di Terra di Lavoro, il 16 giugno 1770. Avvocato e medico, arrestato a
Napoli nel 1794, andò esule a Milano prima, in Svizzera poi, dal 1796 al
1798.
Ritornò in Italia, a Roma, dove era
stata proclamata la Repubblica e fu protagonista della vita culturale della
capitale, animando l'attività dei circoli democratici, con ardenti
conferenze, e scrivendo sui nuovi giornali.
Spinse con Lauberg il comandante in capo delle
truppe repubblicane francesi a Roma, Championnet, a rivoluzionare anche il
Regno di Napoli. Fu protagonista poi dell'esperienza repubblicana napoletana,
in qualità di commissario dipartimentale e membro della commissione
legislativa, dove si fece notare per il suo costume austero. Coinvolto nel
tragico epilogo della Repubblica napoletana, fu giustiziato a Napoli il 3
agosto 1799.
E' autore di 'Pensieri politici',
scritto e pubblicato a Roma nel 1798, giudicato da Cuoco una delle opere
"più forti che si possano leggere".(1)
La comprensione storiografica più
profonda su Russo parte da Benedetto Croce, che lo inquadrò come
'socialista moralista', attirando l'attenzione anche di Antonio Labriola, che,
in una lettera al Croce, affermava "Aspetto con interesse il tuo scritto
su Vincenzio Russo. Certo che durante la Rivoluzione francese, oltre il comunismo
esplicito, ci fu il socialismo latente".
La
stagione di ricerca più felice è recente, legata al lavoro
filologico ed interpretativo di Delio Cantimori e Ruggiero Romano, ed alla
nuovo storiografia europea sul fenomeno repubblicano di fine Settecento. (2)
Uno degli approdi più felici in tal
senso è stato il lungo saggio di Giuseppe Galasso (l'insigne e
infaticabile storico dell'Italia democratica), dal titolo "Il pensiero
politico di Vincenzio Russo" del 1965 (3), al quale molto devono, con
alcuni altri testi, questi essenziali riferimenti.
La vita e l'opera di Vincenzio Russo annodano in
modo nobile e indimenticabile la Repubblica Romana e la consorella Repubblica
Napoletana, due esperienze storiche da rinnovare sempre nella memoria etico -
politica d'Italia, collocandosi entrambe in modi singolari alle origini del
Risorgimento, con aneliti e risonanze non solo nazionali, ma europee, nelle
quali sul terreno concretissimo del governo, dell'amministrazione, della
cultura militante (dove si misurò giorno dopo giorno l'impegno politico
deciso, energico, responsabile, disposto al sacrificio anche della vita dei
repubblicani di varia tendenza ideale), trovò uno degli sbocchi più
alti e memorabili il grande risveglio
del 'Settecento riformatore', esplorato in modo impareggiabile e
indimenticabile da Franco Venturi, che ad esso era legato come a una delle
poche stagioni di vertice etico - politico e intellettuale della tormentata e
tragica storia europea.
I "Pensieri politici"
costituiscono l'unica opera scritta dall'autore e si configurano anche come una
specie di autobiografia spirituale e morale. Erano apparsi in parte già
sul 'Monitore di Roma'.
Dice
Russo "Ho scritto questa operetta in quel suolo che cuopre le
ceneri dei Bruti e dei Catoni: l'ho scritta come se fossi sotto gli occhi loro,
ed ispirato dall'idea della loro grandezza. Io mi son trasportato col pensiero
in mezzo all'assemblea immensa dell' umanità, ho inteso il tempestare
de' suoi richiami, ed abbracciato i suoi mali con uno sguardo: ma senza
torcere la vista, me ne sono anzi pasciuto, per invigorir la mia lena a
rintracciarne qualche rimedio. Da quel punto di ampiezza ho voluto mettere
voci, quali avrei bramato udir risuonare per tutti i secoli ed in tutte le
contrade della terra." (4) Si avverte profonda l'impronta di Rousseau,
col suo pessimismo storico, con la sua denuncia dei mali dell'umanità,
con l'appassionata ricerca di una strada di liberazione, che avesse nell'uomo
rinnovato e nella società tradizionale rivoluzionata le chiavi di volta
per sciogliere i problemi dell'ingiustizia e della servitù.
Nella storia Russo vede il trionfo della
tirannide, dell'oppressione "Dall'epoca dell'Impero romano fino a noi
tutto si vede inondato quasi da un pelago che cuopre tutto o devasta fra gli
orrori della barbarie e fra le stoltezze e le sevizie della tirannia secolare
e religiosa."(5) Il suo antistoricismo si estende alla cultura ed alla
sua funzione, nel senso che essa è stata trascinata, condizionata dalla
situazione storico - sociale in cui operava e quindi è caduta nella
falsità e nella futilità. Non nega il Russo che vi siano stati
dei grandi ingegni nella storia culturale umana, ma essi sono stati pochi ed
hanno dovuto superare ostacoli giganteschi, per emergere dal mare di ignoranza,
di pregiudizi, di disordine, in cui si trovavano ad operare."...sull'avvallamento
dell'ignoranza universale si è alzato qualche ingegno, ed ha stupefatto
coll'ampiezza e colla profondità delle sue idee i secoli e le
nazioni...quei grandi erano compressi da ogni banda e spesso battuti dal
dispotismo e dalla superstizione...., ed erano poi stati fin dalla più
fresca età sozzati da pregiudizi, e nella barbarie e nell'inesattezza
delle lingue avevano attinta la confusione e l'oscurità delle idee, la
precipitanza nel giudicare...è convenuto perciò di sudare
lungamente e di combattere seco stessi
per distruggere tutto quel labirinto mostruoso, e per ricomporre gli stessi
materiali, prima di studiar d'innalzare sopra altre basi e con più
ordinate forme parte dell'edifizio della verità. A quanta maggiore
altezza non lo avrebbero portato, se sul principio avessero potuto porre tutte
le cure loro nell'innalzarlo ?". (6)
Dallo spettacolo di avvilimento, di
repressione, di annullamento delle tante infinite personalità, che
avrebbero potuto fiorire nella storia e che non lo sono state tragicamente,
dalla constatazione di una dura condizione che ancora incombeva, nasce l' appassionato slancio radicale,
rivoluzionario di chi, come dice efficamente Galasso "dalle radici vuole
svellere la mala pianta del despotismo e del servilismo". (7) Russo sogna
un mondo nuovo, dove la socialità democratica e liberale faccia fiorire
le individualità maschili e femminili in modo diffuso, perché, nella
linea sempre di Rousseau, la natura umana è disposta verso la
verità ed il bene "Immaginiamo per poco la massa tutta del genere
umano sgombra da pregiudizi, tratta finalmente da quelle circostanze politiche
le quali hanno ridotta finora la somma virtù a saper comandare o
servire; immaginiamola senza guerre, in accordo di princìpi, in
uniformità di governi, in tolleranza verace; tutta quanta ridesta per
l'indagine dell'utile verità, tutta sollecita a rompere gli ostacoli che
si frappongono al suo bene, ed intesa ad operare il suo meglio sotto la mano
onnipotente dell'opinione pubblica...Allora non cercheremo dove possa giungere
lo sviluppo delle facoltà umane, direi quasi, dove non possa...sorgeranno
altri Omeri, altri Virgili, quando l'umanità meno affralita da
corruzioni sarà più vivida e fresca; quando le nostre sanzioni
non saranno stritate dal vario turbine della loro molteplicità,
nè l'impronto delle idee sarà sdrucito dalle idee di tanti libri,
la maggior parte mediocri o cattivi, e da tanti metodi o sistemi diversi, assurdi,
contraddittori. Sorgeranno allora altri grandi, maggiori forse di quelli che
sembrarono il termine dell'umano ingegno."(8)
Un altro esponente della cultura europea che
influenzò Russo fu il filosofo tedesco Leibniz, con la sua teoria delle
monadi, che diventa un riferimento essenziale per la teorica dell'individualità.
L'individualità è la
qualità fondamentale ed essenziale di tutto ciò che esiste, essa
pertanto va riconosciuta, salvaguardata, promossa. L'uomo, nella sua
individualità, è il sommo valore ed ha in sé innati,
potenzialmente, tutti i principi e tutte le leggi che valgono per la sua
crescita morale, intellettuale, civile. Nel rispetto di queste leggi profonde,
intime al suo essere, si collocano la vera libertà, la vera
moralità e la vera socialità. Non vi sono libertà,
moralità, socialità senza legge e senza l'ossequio intimo alla
legge. Russo si allontana da una idealizzazione dell'uomo naturale, visto come
il primitivo, buon selvaggio, e si avvicina a spunti quasi kantiani, che
collocano nella moralità l'orizzonte vero della libertà e
dell'umanità; si allontana anche dalle teorie contrattualistiche,
utilitaristiche sulla nascita della società, sottolineando il legame
coessenziale dell'uomo con l'altro uomo e la necessaria condizione civile,
regolata da leggi"...appena vi è un'esistenza qualunque, le
leggi, senza le quali non si può concepire l'esistenza, vengono ad aver
luogo: ed un'esistenza senza leggi è una così strana
contraddizione, come quella di un'esistenza finita senza limiti e senza certo
modo di esistere".(9)
Nello stato civile la libertà non solo
non si perde, ma essa trova uno spazio maggiore di espansione, perchè
maggiori sono gli scenari di scelta, quali non esistono ad es. in una
libertà solitaria. La libertà non solo non si perde, ma essa
è uno degli scopi dello stesso convivere. E' chiaro sempre che per uomo libero si intende sempre l'uomo
morale, che ritrova il senso della legge civile in se stesso e fa coincidere la
norma morale con la norma giuridica, cogliendone la stessa radice normativa.
Dal senso di dignità e di grandezza
dell'uomo morale, Russo fa discendere la sua convinzione democratica,
dell'eguaglianza politica, della sovranità popolare, la critica alla
proprietà feudale e monopolistica. A proposito della critica della
proprietà presente in tanta parte del repubblicanesimo
liberaldemocratico europeo, occorre
richiamare la preziosa riflessione di Salvemini nel suo studio sulla Rivoluzione
francese "Prima della rivoluzione non esiste ancora una chiara
distinzione fra il concetto di ricchezza e quello di feudalità...Le
critiche, pertanto che noi vediamo molto spesso insorgere contro la idea
generale di proprietà erano intese il più delle volte come
critiche di quel dato assetto di proprietà feudale di cui si sentiva il
peso nel secolo XVIII. Le simpatie teoriche per l'eguaglianza economica, non
appena assumevano contorni concreti, si riducevano sempre ad un desiderio pungente
di eguaglianza politica. Le declamazioni ardenti contro la società e la
proprietà non erano, di regola, che una introduzione alla richiesta di
riforme antifeudali, giudiziarie, amministrative, finanziarie."(10)
Il diritto alla proprietà di tutti gli
uomini è così argomentato dal Russo "Senza i prodotti
della terra l'uomo non si può conservare. Ha dunque alla partecipazione
di questi un diritto eguale a quello che egli ha di esistere. Siffatto diritto
è uguale in tutti gli uomini, poichè l'esistenza, dalla quale
esso trae l'origine è un fatto semplice, come abbiamo già notato,
e però omogeneo ed eguale." (11)
In Russo non v'è nessun sentimento
collettivistico (se si deve parlare pertanto di 'socialismo latente', occorre
precisare che si tratta soprattutto di un pensiero laico e liberaldemocratico, con
sensibilità modernamente
più 'liberalsocialisti'), anzi vi sono accenti particolari nel
rivendicare lo stretto rapporto tra godimento del diritto di proprietà e
libertà personale e civile, moralità "Il solo possidente
è libero, perchè egli è indipendente. Chi ha braccia e
suolo, non dee più mendicare la sua sussistenza da altri: l'ha da se
stesso. Allora finalmente non è egli in soggettamento di alcuno; allora
può senza riguardi, senza speranze e senza timori far uso ragionevole
delle sue facoltà. L'uomo in tale situazione ritorna eguale e umano; sensato
e docile...ma alla sola ragione".(12) Ma il godimento del diritto di
proprietà deve avere un limite, perchè deve essere rivolto solo
al soddisfacimento dei bisogni essenziali dell'uomo in quanto essere fisico e
sensibile e non per altri scopi. La proprietà deve essere sempre vista
come mezzo per la libertà e l'indipendenza, e la legge deve vigilare,
affinchè essa non travalichi per altri scopi e si traduca in privilegio,
oppressione, monopolio come per il passato è avvenuto con la
proprietà feudale ed ecclesiastica.
Russo mostra una profonda diffidenza verso
l'attività commerciale e industriale, che produce danni sociali e
morali rilevanti, come il desiderio di ciò che è superfluo, il
concentrarsi degli uomini nelle città affollate, anonime,
incontrollabili, oligarchiche. L'attività commerciale tende a rendere
gli uomini egoisti, sospettosi, dissimulatori, speculatori, cupidi di oro.
L'umanità trova la sua condizione sociale ottimale, secondo Russo, nei
piccoli agglomerati urbani, dove si possono conoscere e controllare i fenomeni
negativi, dove l'economia si fonda essenzialmente sull'agricoltura e sulla
pastorizia, impalcate sulla proprietà privata diffusa e controllata
dalla legge democratica. Non a caso Russo si rifugiò per l'esilio in
Svizzera e non a Parigi, dove vedeva corruzione. Come dice Lomonaco "Va a
ritrovare ne' monti dell' Elvezia la povertà, la frugalità e la
semplicità de' costumi. Lo Svizzero, egli mi dicea, lo Svizzero solamente
è capace di libertà in Europa".(13)
Avendo reso così nodale, decisivo il
piano morale, Russo non assegna alcuna funzione sociale alla religione, che
dovrebbe rimanere un fatto individuale, pur concedendosi l'atto di culto per
tolleranza (ma esso andrebbe curato da cittadini senza salari o distintivi,
che si mescolano con gli altri). Le religioni, quando si accompagnano a forti
apparati organizzativi, per Russo hanno mostrato storicamente di essere sempre
pericolose, portandosi dietro tendenze e pratiche di fanatismo, ferocia,
intolleranza, dogmatismo, pregiudizi, superstizioni.
Fu sostenitore convinto ed entusiasta della
partecipazione giovanile al moto rivoluzionario ed indicò con parole
ancora attuali la difficoltà e la via per un insediamento profondo dei
valori democratici. Così scriveva sul 'Monitore di Roma' nell'articolo
dal titolo ' Maniera di ravvisare con buona fede le nuove repubbliche esposta per uso del popolo' "La democrazia non consiste, no,
nelle formule della Costituzione democratica! Questa soltanto accenna quello
che si debba fare per aver democrazia, ma da se stessa nol fa. La democrazia
bisogna piantarla negli animi, conviene stabilirla nel riordinamento dei fatti
sociali, nella riforma dei pubblici desideri, nel raddrizzamento dei costumi,
nella onnipotenza della legislazione repubblicana e dell'opinione."(14)
In un personale dialogo con le correnti
più importanti dell'Europa, erede in questo dei grandi riformatori
napoletani del Settecento, il rivoluzionario repubblicano Russo iniziava teoricamente a Roma,
all'interno del clima libero della Repubblica romana, la corrente democratica
italiana e meridionale allora inesistente, con accenti sociali e liberali
insieme singolari e degni di ricordo e di ulteriori approfondimenti.
Sulle incidenze segrete di Russo
nell'età successiva, fino a Pisacane, ha riflessioni acute il citato
Galasso"...come dimenticare che le convinzioni del Russo sulla
necessità della partecipazione popolare alla vita politica, sulla
virtù dell'esempio e del sacrificio...sull'indipendenza anche politica
assicurata dalla libera disponibilità di una proprietà
individuale, sulla impossibilità di un reale rinnovamento politico che
non riordini anche i fatti sociali, sui giovani e la loro partecipazione
all'azione rivoluzionaria e su numerosi altri punti ritroveremo poi, quasi
pari pari, in democratici e radicali ottocenteschi come Mazzini e Pisacane?".
(15)
Fa presente giustamente Galasso che in Mazzini
e Pisacane non vi sono riferimenti a Russo come fonte di ispirazione diretta e
che fra Russo, Mazzini e Pisacane si riscontrano profonde differenze "Per
quanto riguarda Pisacane bastavano a mantenere un abisso tra lui e il Russo
l'opposizione tra spirito nazionale dell'uno e spirito cosmopolita dell'altro e
quella tra la viva sensibilità per le nuove forme dell'attività
produttiva a metà secolo XIX dell'uno e l'incondizionato ruralismo
dell'altro...E per quanto riguarda Mazzini bastavano a sortire lo stesso
effetto i due punti della nazionalità e della religiosità, anche
se, a differenza di Pisacane, che avrebbe a sua volta accettato l'irreligiosità
di Russo, Mazzini partecipava pienamente all'apertura di quest'ultimo verso le
masse più umili e verso i giovani." Ma Russo, Mazzini, Pisacane
avevano "il comune spirito di riscatto delle masse popolari e la comune
percezione che sia questo un tema di fondo del mondo contemporaneo. Da questo
punto di vista non è, allora, la materialità di riferimenti espliciti
o di comuni svolgimenti di pensiero ciò che più conta,
bensì l'orientamento generale verso i grandi problemi della vita
politica e sociale. Mazzini e Pisacane marciavano alla sinistra dello schieramento
storico e politico in cui erano inseriti così come, meno di mezzo secolo
prima Russo e i suoi amici ...Mazzini e Pisacane reinterpretavano alla luce
dell'esperienze post-rivoluzionarie, alla luce della nuova sensibilità
romantica e nazionale e, in parte, della nuova economia industriale, le forme
e lo spirito necessari di una politica democratica e popolare; e da questa
nuova luce affrontano quindi gli stessi problemi che, alla luce di un'altra
cultura e di altre esperienze, aveva già affrontato Vincenzio
Russo." (16) E Galasso riporta un passo di Mazzini significativo e
caratteristico degli anni 1831-1833 "I vostri padri, o Napoletani, davano
sangue; i vostri padri morivano, morivano dal palco, ch'essi chiamavano il
luogo non di dolore ma di gloria. Morivano intrepidi come la virtù, e le
ultime parole erano di vaticinio. Il sangue dei repubblicani, dicevano,
è seme di repubblica e la repubblica risorgerà. Oh! avranno essi
mentito? E la coscienza che dettava a Vincenzio Russo queste solenni parole
non sarebbe stata che illusione? Figli degli uomini del 1799! Rinnegherete voi
i vostri padri? Le ombre di Mario Pagano, di Cirillo, di Francesco Conforti, di
Russo, della Pimentel, di Caracciolo vi contemplano."(17)
Il lievito della memoria di Russo come
testimone, martire, teorico dopo l'Unità
è attestato dalla stampa dei 'Pensieri' già nel 1861, a
Napoli, a cura e con premessa di M.
D'Ayala, e dal richiamo presso gli ambienti repubblicani, democratici,
internazionalisti, socialisti, che si espresse ad es. col saggio monografico
scritto da Francesco Saverio Merlino (Napoli, 1865 - Roma, 1930,
internazionalista prima, poi teorico del
socialismo liberale), apparso nella collana di opuscoli del periodico "La
Plebe" di Milano, nel 1879. (18)
NOTE
1) A.Lauri, Dizionario dei cittadini
notevoli di Terra di Lavoro, Sora, 1915, p.156.
2) D.Cantimori, Utopisti e riformatori
italiani, Firenze, 1943.
-R. Romano, Vincenzio Russo e gli
estremisti della Repubblica Napoletana del 1799, saggio apparso negli
"Atti dell'Accademia Nazionale di Scienze morali e politiche "della
Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli,64 (1952-1953),
riportato nel volume "Napoli: dal Viceregno al Regno", Einaudi,
Torino, 1976.
3)G. Galasso, Il pensiero politico di
Vincenzio Russo, in "Mezzogiorno medievale e moderno", Einaudi, Torino,
1975 (I ed., 1965), pp. 231 - 299.
4) Ibidem, p.250
5) Ibidem, p.243
6) Ibidem, p.238
7) Ivi
8) Ibidem, pp.240-241
9) Ibidem, p.253
10) Ibidem, p.263
11) Ibidem, p.272
12) Ibidem, p.275
13) Ibidem, p.265
14) F. Diaz, Politici e ideologi, in
'Storia della Letteratura Italiana', diretta da E. Cecchi e N. Sapegno,
Garzanti, 1968, cit., p. 255
15) G. Galasso, Il pensiero politico di
Vincenzio Russo, pp. 292-293
16) Ibidem, pp.293-294
17) Ibidem, p.294
18) M. Spagnoletti (a cura di), Alle origini
della propaganda socialista.Gli opuscoli de'La Plebe' 1879-1881, Lacaita,
Manduria,1992, pp.73-82.
F. Diaz, Politici e ideologi, in
'Storia della Letteratura Italiana', diretta da E. Cecchi e N. Sapegno,
Garzanti, 1968, cit., pp. 253-255.